Sono qui davanti al computer già da diverso tempo, vorrei scrivere del Natale, vorrei scrivere della guerra e di tutto ciò che in questo momento riempie le cronache dei giornali e dei programmi televisivi, ma oggi non riesco neanche a mettere in ordine le parole. A un certo punto mi è tornato in mente uno scritto, letto rovistando curiosamente tra le carte di mia nonna qualche tempo fa.
Voglio condividerlo con voi pensando che nulla accade per caso e
che se oggi non sono riuscita a comporre il mio articolo forse è tempo di far conoscere questa storia.PICCOLA STORIA DI NATALE PER MIO FIGLIO
Io sono William Van den Broek d’Obrenan e qui sotto fa tanto freddo.
Ti sento mentre leggi il nome sbagliato sulla croce. Neppure questo mi hanno lasciato, la dignità del mio nome. La mia è una famiglia importante in Francia, esploratori, artisti, ministri, poeti. Qui sono semplicemente un uomo fra tanti, come è scritto sulla lapide, “morto per la Francia”.
Sono nato nel 1913, ho 30 anni, come 56 anni fa quando sono arrivato in Italia. Sono vissuto a Nantes sulle acque della Loira e ho conosciuto quasi solo la guerra. Quando sono partito, ero sicuro di tornare presto dai miei genitori Charles e Yvonne e dai miei fratelli Isabelle e Guy. Ho fatto la valigia in una fredda giornata di gennaio, subito dopo il Natale del 1944. Un Natale bellissimo: la Santa Messa, il pranzo insieme, lo stupore e la gioia nell’aprire i regali, il nostro ultimo Natale. Salendo sul treno, pensavo all’Italia come al paese del sole, del mare, della luce accecante del mezzodì e così mi è parso nelle terse mattinate di giugno quando il giorno alla sera pareva non cedere mai. Credevo che tempo qualche mese avrei rivisto casa. La morte lontana, a difendermi la giovinezza, la mia buona stella.
Ti vedo commossa, bionda signora, per favore non piangere per me. Ormai mi sono abituato a questo silenzio, al languido crepuscolo romano, a questo monte accarezzato dal ponentino. Sono tutt’uno con le radici di questi nodosi olivi e degli agili cipressi. Disteso vedo solo il cielo immenso di questa antica città, che regala lembi d’estate anche in pieno inverno, immerso in questo mare di stele rivolte alla Mecca, tributo degli efferati e scellerati atti dei marocchini dopo le battaglie, vicine alle nostre croci dritte ad invocare Dio e alle lapidi degli ebrei e degli animisti. Un esercito di uomini morti per un ideale, per un principio oppure senza sapere veramente bene il perché, insieme qui per l’eternità, appartenenti ad un tempo così lontano quasi in oblio, diversi, uniti nel dolore quando hanno lasciato scappare via la vita senza poterla trattenere un istante di più. La terra che ci circonda bagnata dalle lacrime di coloro che non hanno visto il nostro ultimo sguardo, non ci hanno dato l’ultima carezza.
Sai ero alto proprio come quel bel ragazzo che ti sta a fianco. Ti sorride, ha gli occhi pieni di speranza così come erano i miei, fiduciosi che il futuro avrebbe portato il bene e che anche io avrei avuto la mia storia da scrivere. E invece sono per sempre qui, gli inverni che si alternano alle primavere senza fine. Regalami cara amica ancora un poco di vita, te ne sono grato perché qui da soli ci si intorpidisce, già consapevoli di tutto ciò che verrà, in un eterno presente. Osservo, non guardo, non annoiato, non sofferente. A volte le stelle brillano forse un po’ di più. A volte, un po’. A volte il vento porta odore di mare anche qui. Pochino. Mi sembra allora di scuotermi lentamente, resto invece apatico. E ora il tuo sguardo curioso, la tua tenerezza, mi hai portato il tuo cuore, abbracciato e cercato di lenire il dolore, di ricordarmi con garbo di quanto è bella la vita, di come è bello amare. Mi hai preso la mano e sussurrato che eri in pena per me. Ho accarezzato i tuoi capelli biondi, sentito il tuo profumo, sperato che mai andassi via. Torna, prega per la mia anima e che io per te non sia solo un semplice nome sbagliato sotto un cumulo di terra ma quell’uomo che ha pianto, riso, amato e che ha vinto il male col suo sangue. Quel 6 luglio in battaglia quando il colpo del nemico mi ha attinto ho accolto la morte stupito e mentre cadevo nella polvere, tra le sterpaglie ho pensato alle verdi colline della Bretagna e alle coste rosa che si buttano nell’Oceano, a tutti coloro che ho amato, urlando il dolore di non poterli più proteggere.
Guarda tuo figlio, stringilo al tuo petto, digli che nessuna guerra è giusta e che è terribile morire in terra straniera, vicino ad un campo di grano, in mezzo ad un frastuono assordante di spari e urla, che pare l’inferno. Spiegagli che la pace è un dono prezioso, che deve essere coraggioso e lottare per essa, senza permettere mai a nessuno di metterla in pericolo. Stasera come torna a casa che abbracci suo padre, i suoi fratelli e li tenga stretti a sè vicino, sussurrandogli che li ama.
Raccontagli di me e chiedigli di non dimenticarmi.
Io sono William van den Broek d’Obrenan, morto per la Francia morto per la libertà.
LA MAMMA
Piccole note biografiche
William van den Broek d’Obrenan nacque il 22 agosto a Losanna da Charles van den Broek d’Obrenan (Java Indonesia 20 aprile 1883- ) e Yvonne Grellet de la Deyte (1888-1965) sposatisi il 7 luglio 1909 a Parigi Ile de France ed aveva una sorella Isabelle (1910-1997) ed un fratello Guy (1920-1999). Era Capitano del 2° Reggimento di Tiralleurs marocchino e fu ucciso a Castelluccio il 6 luglio 1944 dopo la presa di Siena. Era un comandante di compagnia anticarro di notevole abilità e coraggio. Durante le varie operazioni svolte dal reggimento in Italia effettuò sempre la ricognizione prima dell’ingaggio dei suoi pezzi con un totale disprezzo del pericolo. Fu insignito per questo della Legione d’Onore e della Croce di guerra 1939-1945. La sua prima tomba fu a Roma al Cimitero dei Francesi ma probabilmente oggi le sue spoglie riposano in Francia, tuttavia ad imperituro ricordo ne rimane una lapide.
William non è ora più solo in terra straniera ha noi come amici che lo andremo a trovare e a portare un fiore sulla sua tomba.
Domitilla Ianni Neroni
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