Sono trascorsi trent'anni dal primo sbarco di migranti a Lampedusa. Durante questo periodo, abbiamo cercato di assistere i disperati che giungevano, sopravvissuti
alle intemperie del mare su imbarcazioni inadeguate. Ma da dove o da cosa fuggivano?È un dato di fatto che necessitavano di soccorso immediato e, di conseguenza, venivano tempestivamente ricoverati in improvvisati campi profughi. Molti perdevano la vita in mare, simile alla tragedia dei compagni di Ulisse naufragati a causa di una tempesta provocata dall'ira di Poseidone. Ma da chi erano scacciati questi profughi? Si è detto che in Africa c'erano guerre endemiche, povertà assoluta e malattie. La situazione, evidentemente peggiorata dalla fine del colonialismo, ha portato all'esplosione in Africa a causa di difetti nell'autogoverno.
È ben noto l'impatto delle associazioni umanitarie che mostrano bambini afflitti da malnutrizione, cecità e altre malattie legate alle condizioni misere di vita. È diventato chiaro che la situazione non può essere risolta solo con aiuti volontari, che al massimo possono mitigare alcuni dei mali. Senza sminuire l'eroismo dei volontari, accogliamo con favore il recente progetto di ripresa economica, politica e culturale dell'Europa, promosso dal governo italiano. Questo sforzo ha radunato rappresentanti dei governi di quasi tutti i paesi africani, richiamando la memoria di Enrico Mattei, fondatore dell'ENI, favorevole ai rapporti con il paese dell'est del Medio Oriente e probabilmente ucciso per un attentato mafioso.
Forse è opportuno citare la frase polemica del capo delle delegazioni africane, che esortava a produrre fatti concreti anziché le solite parole. Per realizzare tali azioni concrete, è necessaria innanzitutto la volontà di collaborazione degli stati africani, dilaniati a lungo da guerre intestine. È essenziale che essi riscoprano gli elementi positivi delle proprie civiltà, oscurati da vari fattori, e riconsiderino le loro religioni in modo non aggressivo. Ovviamente, l'Europa deve impegnarsi nella ristrutturazione economica a tutti i livelli. Questa sfida positiva mira all'incontro tra popoli e a conferire un'identità significativa alle persone africane, che finora potevano pensare solo a fuggire dall'Africa.
La situazione più vicina è quella della guerra civile in Libia, scaturita dall'uccisione di Gheddafi, che ha portato alla disperazione di molte persone perseguitate e massacrare: se potevano, fuggivano. Tuttavia, la situazione dopo l'approdo in Italia non era delle migliori. In che lingua parlavano queste persone? Quale era la loro concezione della vita? Molti venivano inviati in altri paesi europei, dove dovevano imparare altre lingue locali. Alcuni trovavano impiego in attività manuali, alcuni bambini venivano inseriti nelle scuole, ma mancano indagini approfondite sulla vita dei numerosi migranti approdati in Europa. Era giusto tentare strade alternative di aiuto, senza allontanare le persone troppo dal luogo e dalla cultura di nascita. Speriamo che questo progetto porti a una revisione sistematica del nostro rapporto con gli africani, che hanno il diritto di non essere sradicati dal loro suolo nativo. Implicito in questo progetto è il lavoro per una pacificazione sistematica del continente, senza la quale ogni progresso rischia di diventare ridicolo se sottoposto alla distruttività bellica.
Gabriele Omiccioli
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