domenica 7 aprile 2024

David Benatar e la teoria antinatalista



 “Potete considerare la vita come un episodio inconcludente, che turba la beata calma della non esistenza.” 

-Arthur Schopenhauer


Questo è il fulcro della teoria antinatalista del filosofo sud africano David Benatar. No, non si tratta di uno scherzo filosofico o di una provocazione, ma di una riflessione che deve essere accolta con grande apertura mentale e comprensione.

Sono convinto che un sano pessimismo e la consapevolezza della caducità della vita, possa portare a una maggiore lucidità nelle azioni che compiamo ogni giorno e a godere maggiormente degli attimi che ci rimangono (che non sono poi così tanti).


Secondo Benatar l’esistere implica una quantità di bene e una di male, e la seconda è di gran lunga superiore. Di stampo schopenhaueriano, riconosce ciò che la maggior parte degli umani ha paura ad ammettere: la vita è sofferenza. E ciò non è nemmeno il problema più grande, che invece è, come si intuisce, il fatto che la sofferenza non abbia nemmeno senso.
Questa sofferenza si estende a tutti gli altri esseri viventi e in particolare Benatar si sofferma sugli allevamenti intensivi di animali, che letteralmente nascono per essere uccisi, e l’immenso dolore che provano si contrappone all’incoerenza umana che reputa normale questa pratica.

Questo schema riassume la concezione di Benatar.
L’assenza di piacere per chi non è mai esistito è considerata “non male” perché non c’è nessuno che può giovare di quel piacere e soprattutto non c’è nessuno che può rimpiangere di non averlo provato.
Questo schema contraddice gli ottimisti (che sono influenzati dall’effetto Pollyanna di cui parlo in un altro articolo). Invece per Benatar gli umani hanno diritto a non esistere, e questo diritto può essere realizzato solo smettendo di procreare. Fare figli è un atto di egoismo, dovuto dalla necessità di dare un ulteriore senso alla vita, un senso che sfugge sempre. Mettere al mondo nuovi esseri senzienti, aumenta la catena di sofferenze. Alcune persone addirittura si ritengono fortunate di essere nate e questo va completamente contro la sua visione.

Benatar affronta anche una riflessione che sorge spontanea, quella sul suicidio.
L’estremo gesto è un’opzione che riserva all’uomo la libertà di porre fine all’esistenza (mai richiesta) quando i fardelli della vita diventano gravemente insostenibili.
Ma non è una vera soluzione.
Innanzitutto contribuirebbe a spargere ulteriormente la sofferenza a vite altrui, quelle dei propri cari e degli amici. Inoltre non risolve il problema del senso della vita.

Il nichilismo è l’ultima barriera della filosofia, e Gorgia è stato uno dei primi a trattare l’argomento, affermando che “nulla esiste”.
Così si giunge all’assurdismo figlio del nichilismo e, come afferma Camus nelle primissime righe del “mito di Sisifo”, vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio, giudicare se la vita valga o no di essere vissuta. Ma di questa corrente filosofica parlerò in un altro articolo.

Ho da controbattere sulla tesi di Benatar riguardo l’estinzione graduale (che è una possibile soluzione alla difficile condizione umana).
Io credo che non si possa “non esistere” ma si possa solo esistere, dal momento che siamo qua a parlarne.
Se la “Voluntas” è veramente una forza ceca irrazionale ed eterna, l’estinzione non può essere la soluzione. Forse ci sarà un tempo in cui ogni dolore e ogni conflitto cesseranno. Allora la medicina garantirà addirittura l’eterna giovinezza e la tecnologia lavorerà interamente per l’uomo che avrà tempo di occuparsi solo di sè stesso e dell’arte. Eppure anche in quel tempo, il nichilismo non sarà scacciato, poiché la domanda eterna sul “senso” non verrà mai risposta.

“L’abisso che c’è fra la certezza che io ho della mia esistenza e il contenuto che tento di dare a questa sicurezza, non sarà mai colmato” afferma Camus.
Così la concezione nietzscheana dello scardinare tutti i valori per creare i propri punti fermi, si rivela l’unica soluzione per non impazzire in questo mondo assurdo.
Bisogna tornare alla realtà, alla concretezza delle relazioni. La troppa filosofia può portare all’estraniazione. La risposta è: Autocoscienza dello spirito.

Nunzio Maria Monaco

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