martedì 14 maggio 2024

Criminal Profiling: un astuto tiro ad indovinare o uno schema accurato?




Un assassino seriale è molto difficile da individuare: i modus operandi possono variare con l’evoluzione del

killer o possono rimanere uguali; la vittimologia può essere casuale o preferenziale; le circostanze possono essere stressanti emotivamente o possono trattarsi di quelle di una psicosi grave, che porta alla deviazione della percezione della realtà.


Ciò che limitò per molti decenni le possibilità di individuare un colpevole nei casi di crimini seriali fu il limitarsi all’analisi delle prove e dei collegamenti tra le vittime.


La rivoluzione nella cattura dei serial killer fu il profiling, ovvero la capacità di psicoanalizzare un omicida a prescindere dal suo modus operandi, assieme alla vittimologia e alle circostanze geografiche e temporali dell’omicidio. Per molti anni, anche oggi, si è ritenuto che questo studio fosse solo una supposizione astuta; alcuni considerano questo studio un vero e proprio tiro ad indovinare.


Tuttavia, il criminal profiling si è dimostrato utile nella risoluzione di molti casi. Infatti, i dipartimenti di polizia che si sono serviti di profili psicologici hanno risolto il 260% di casi in più rispetto a quelli che non ne hanno mai richiesto.


Molti si chiederanno come sia possibile individuare una rete di collegamenti da così poche informazioni; la risposta è semplice, ma il procedimento è complesso. Si tratta di una combinazione di analisi comportamentale, statistica, vittimologia, studi psico-attitudinali applicati all’ambito omicida e, in alcuni casi, viene analizzata anche la grafia.


All’inizio dell’intero procedimento vi è la classificazione del killer per tre aspetti: impulso, M.O. (modus operandi), movimento nel territorio.


Le categorie per impulso furono stabilite nel 1979 dagli agenti speciali dell’FBI Robert Ressler e John Douglas, residenti al dipartimento di Analisi Comportamentale BAU. Le categorie per impulso furono definite fra: omicida di massa, che uccide almeno tre o quattro vittime casuali in un unico evento; omicida compulsivo, che uccide due o più vittime solitamente casuali in luoghi diversi a causa di un fattore stimolante detto “stressor”; omicida seriale, che uccide tre o più vittime in luoghi diversi con periodi di intervallo emotivo detti “cooling-off time”: la vittimologia in questo caso può essere casuale o determinata da fantasie o preferenze. Le prime categorie per modus operandi si dividono nelle due generali, organizzato e disorganizzato, sempre stabilite dagli agenti speciali Ressler, Douglas e Burgess, ma spesso si confondevano i limiti tra le due. Le categorie specifiche furono individuate invece dai due psichiatri forensi Park Dietz e Richard Rappaport tra il 1986 e il 1988: l’omicidio compulsivo nell’atto di compiere un crimine, legato unicamente alla funzionalità di un altro reato evidentemente compromesso dalle vittime che devono essere eliminate dall’assassino; esecutori di operazioni di criminali organizzate, collegati a gang o mafia, sono simili al modello precedente ma sono inseriti in uno stile di vita malavitoso; avvelenatori e soffocatori di persone assistite, sono impiegati nell’ambito medico e non intendono infliggere alcun male ma pensano di alleviare i dolori del malato; gli psicotici, soffrono di disturbi psichiatrici che li portano a percepire voci ed impulsi omicidi spesso collegati alla religione; i sadici, provano piacere nella tortura e nella sofferenza altrui.


Infine, il profilo geografico fu definito da Michael Newton tra il 1990 e il 1993: l’assassino seriale territoriale, sceglie una sua “area di caccia” spesso molto specifica e che conosce bene; l’assassino seriale nomadico, si può spostare da una città all’altra in cerca della vittima perfetta, spesso si tratta di un vagabondo o di un individuo con un lavoro che gli permette di viaggiare molto; l’assassino seriale stazionario, che commette gli omicidi in casa propria o sul posto di lavoro ed è ben inserito nella comunità, insospettabile ed estremamente organizzato.


La classificazione dell’assassino sotto questi aspetti è fondamentale, sia per una restrizione del campo a casi precedenti nella ricerca di uno schema, sia perché, secondo quanto individuato dai dottori Ronald M. Holmes e Stephen T. Holmes, la scena del delitto riflette la personalità del suo autore. Dai due dottori vennero individuate come costanti anche le altre caratteristiche degli assassini: modalità del delitto, firma e personalità. Tuttavia, col tempo è stato dimostrato che il 37% dei killer si avvale di più modus operandi.


Per quanto riguarda l’aspetto più matematico e meno intuitivo, ci si avvale delle statistiche per restringere inizialmente il campo. Ad esempio, un caso di incendio doloso seriale indica solitamente un sospettato maschio, poiché varie analisi psichiatriche hanno dimostrato che la tendenza piromane si concentra negli uomini; in uno studio si è sottolineato che di 167 piromani, 129 erano uomini (77,25%). Oppure, un caso di strangolamento per mano indica un soggetto forte, violento e sadico; mentre un omicidio preceduto da attacchi a sorpresa o da uso di sostanze stupefacenti per indebolire la vittima indica un soggetto che si sente impotente fisicamente o nella sua vita lavorativa o personale.


Oggi il concetto dei serial killer ci sembra così lontano dall’Italia, ciò nonostante il nostro paese è posizionato al settimo posto globale con 95 casi di serial killer identificati (dati del SKDRP del 2020). Questo è dovuto principalmente al fatto che nel linguaggio quotidiano viene indicato come pluriomicidio, mascherando l’effettività del caso di omicidio seriale. Altre statistiche più recenti risalenti al 2021 hanno individuato che dal 2001 al 2021 ci sono stati 36 casi di omicidio seriale sui 226 totali nella storia del paese (16%), mentre tra il 1950 e il 2000 vi erano 119 serial killer attivi sui 226 (53%).


Concludendo, il concetto di serial killer non è così lontano da noi; il profilo psicologico ha aiutato negli ultimi cinquant’anni a velocizzare i processi di identificazione e, nonostante possa avere le sue incertezze, è un metodo valido in quanto studia la verità nascosta intravista negli schemi.

Francesca Lorenza Leonardi

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