Dove pensi di trovarti? È questo il quesito alla base della nuova rivisitazione dell'opera di Orwell, a cura di Giancarlo Nicoletti, disponibile al Teatro Quirino dal 22 ottobre al 3 novembre.
Il continente dell'Oceania, infatti, è sotto l'autocrazia del sopracitato Grande Fratello, un'entità indefinita avvolta dal dubbio sulla sua reale esistenza (O'Brien riflette anche sul significato stesso del concetto di esistere: il Grande Fratello sicuramente "esiste" ma potrebbe non "esistere" come persona bensì come ideale o concetto), che osserva tutti i cittadini attraverso dei teleschermi. Chiaramente non si può sapere se in un determinato momento si è controllati o meno, ma è proprio questo che incute terrore alle persone: nessuno agisce contro il partito sapendo di poter essere visto nel farlo.
Anche la Psico-Polizia gioca un ruolo fondamentale nel terrorizzare i sudditi; ogni individuo sospettato veniva arrestato e portato nel Ministero della Verità, dove era torturato per farlo confessare e per riconvertirlo agli ideali del Grande Fratello. Questo è esattamente ciò che accade al protagonista: dopo aver conosciuto ed essersi innamorato di Julia, una giovane dissidente, i due cominciano a cercare un modo per entrare in contatto con la Confraternita, un’associazione che si muove segretamente contro il SOCING. Si rivolgono quindi al signor O’Brien, che sospettano essere parte dell’organizzazione; lui consegna loro una copia del libro di Goldstein (noto nemico del partito) per aprirgli totalmente gli occhi sulla realtà. Il libro si rivelerà poi falso: O’Brien è in realtà un emissario della Psico-Polizia che li farà arrestare durante un loro momento intimo, assolutamente vietato dal regime.
Winston cerca di non tradire la sua amante nonostante le disparate torture che gli vengono inflitte, ma cederà davanti alla sua più grande paura: i ratti. Il protagonista viene poi rimesso in società e incontra nuovamente Julia; dopo che lui si è scusato per non esserle stato fedele, anche lei rivela il suo tradimento.
La rappresentazione teatrale ha, ovviamente, comportato delle leggere modifiche della trama che, a mio avviso, rendono la prima parte dello spettacolo leggermente caotica e complessa da seguire: per poter trasmettere le stesse sensazioni del libro, era necessaria una narrazione rapida a discapito della comprensibilità immediata delle scene. Nonostante ciò, la seconda parte è totalmente differente: scene molto più lunghe e statiche che aiutano lo spettatore ad assimilare meglio le parole pronunciate dagli attori. Questo cambiamento di modalità di narrazione è sicuramente dovuto alla volontà del regista di trasmettere un messaggio ben preciso espresso attraverso coinvolgenti soliloqui: i personaggi, riferendosi direttamente al pubblico, ci fanno riflettere sull’attualità dei temi di "1984".
L’ultima scena è quella più esemplare: ci si chiede se fosse possibile che il partito non sia mai decaduto e che ancora oggi potremmo vivere in una dittatura che ci governa senza che noi ce ne accorgiamo. Ma mentre viene posta questa domanda, i cellulari dei personaggi suonano e loro, come ipnotizzati dagli schermi, si rassicurano dicendo che sicuramente non sarà mai così.
È importante sottolineare che lo spettacolo è supportato anche da un ottimo piano luci che ti fa immergere totalmente nelle scenografie, in particolar modo i due flash bianchi a bordo palco diretti verso il pubblico. Anche l’audio gioca un ruolo importantissimo: ottima scelta di melodie che trasmettono le giuste emozioni per quelle determinate scene. Opinabile soltanto la scelta di attivare un "delay" sulle voci degli attori quando pronunciavano la filastrocca che ci accompagna per tutto lo spettacolo (per il mio gusto personale avrei preferito un tempo di delay maggiore o la totale assenza del delay, la via di mezzo non mi ha convinto più di tanto).
Filippo De Santis
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