Un canto più bello che trasforma il mondo
Il mondo come potrebbe essere
Raccontare questo viaggio è sempre difficile: non è una vacanza, non è solo un viaggio di “volontariato”, non è soltanto un’esperienza, non è solamente un viaggio di formazione. Probabilmente il termine “Service Learning”, se approfondito, lo spiega meglio: imparare a servire, imparare servendo, mettersi al servizio degli altri e di sé stessi, cercare di conoscere e comprendere il mondo affinché possiamo cambiarlo in meglio creando bellezza e giustizia.
L'Invito: Oltre la Mappa
Per tredici studenti del nostro Istituto, questo non è un concetto astratto, ma la cronaca di diciassette giorni a New York che hanno cambiato il loro modo di vedere il mondo e se stessi. Non una gita, ma una missione pedagogica e pastorale, nata dalla visione Lasalliana che ci spinge a cercare il nostro cuore "nelle periferie" e a comprendere che, in un mondo frammentato, "tutto è connesso".
Questa è la storia di come un gruppo di adolescenti, armati di un "Ticket to the Underworld" e guidati dalle note di quattro capolavori di Broadway, sia sceso nel cuore pulsante della realtà per imparare a "cantare una canzone più bella". Una canzone così potente da rendere irrilevante il canto assordante delle "sirene" del nostro tempo: la paura, il cinismo e la divisione. Cantare un canto più bello come ha fatto Orfeo, irretendo le sirene stesse e cambiare il mondo con l’amore, questo lo scopo del viaggio.
Ma come si traduce in realtà un principio così denso? Come si trasforma un'idea in un'esperienza capace di segnare un'intera esistenza? All'Istituto San Giuseppe De Merode, la risposta è stata costruita partendo dalle due riflessioni lasalliane, quella 2024/25:: "Il nostro cuore è nelle periferie" non è stata una destinazione, ma una direzione dello sguardo; e quella del 2025/26: "Tutto è connesso" non è stata una teoria, ma il metodo per decifrare la realtà. Questo viaggio a New York è stato il modo meravigliosamente pratico e bello di dare corpo a queste parole, un'architettura pedagogica progettata per fornire gli strumenti non solo per vedere il mondo, ma per "accordarlo", per trovare la melodia nascosta sotto il rumore della realtà.
Il primo passo è stato trovare un linguaggio comune, una chiave di volta simbolica. Questa chiave è stata Hadestown, un musical che, rileggendo il mito di Orfeo ed Euridice, è diventato la nostra guida spirituale e pratica. Non è solo una storia, ma una domanda potente: cosa significa essere un eroe oggi? Hadestown ci ha dato una risposta disarmante: l'eroe non è chi vince, ma chi tenta l'impossibile spinto dalla forza dell'amore e della bellezza. È Orfeo, l'eroe della Speranza, che scende negli inferi non per combattere, ma per cantare. Il suo scopo è intonare un "canto più bello", una melodia così potente da ricordare a un mondo anestetizzato e cinico che la primavera può tornare. Questa idea è diventata la nostra missione: imparare a cantare il nostro canto, insieme. Il suo finale, apparentemente tragico, ci ha consegnato il messaggio più importante: il valore non sta nel successo garantito, ma nel coraggio di "cantare ancora la canzone", perché forse, questa volta, la storia "andrà in modo diverso".
Accanto a Orfeo, abbiamo scoperto una costellazione di altri eroi imperfetti, outsider che, come noi, si sono trovati di fronte a un mondo ingiusto.
Da Elphaba in Wicked, abbiamo imparato il coraggio di sfidare le etichette. In un mondo che si affretta a definire cosa sia "buono" e cosa "malvagio", la sua storia ci ha insegnato a guardare oltre le apparenze, a cercare la verità dietro la propaganda e a trovare la forza di essere autentici, anche a costo dell'emarginazione. Abbiamo capito che la vera magia non è nel potere, ma nell'amicizia che sa costruire ponti dove altri vedono solo muri.
Dai Greasers di The Outsiders, abbiamo imparato la lezione della "famiglia scelta". In una società che divide per censo e pregiudizio, abbiamo visto che la risposta all'esclusione è la lealtà incrollabile, la costruzione di legami così forti da diventare un rifugio. Abbiamo imparato cosa significa "restare d'oro": proteggere la propria parte più gentile e vulnerabile in un mondo che ci vorrebbe duri e disillusi.
Da Christian in Moulin Rouge!, abbiamo ereditato la tenacia degli ideali. In una Parigi scintillante ma cinica, la sua fede incrollabile nella Verità, nella Bellezza, nella Libertà e nell'Amore ci ha ricordato che questi non sono concetti astratti, ma forze motrici capaci di dare un senso all'esistenza, anche di fronte alla tragedia.
Infine, Orfeo in Hadestown ha unito tutti questi fili. È l'artista, l'idealista, l'amico e l'amante. La sua storia ha insegnato la lezione più difficile e più importante: il valore del tentativo. Hadestown non celebra la vittoria, ma il coraggio di chi prova a cambiare il mondo con la sola forza di una canzone. Insegna che tentare l'impossibile è il nostro scopo, e che anche se falliamo oggi, potremo riuscirci domani, se solo continueremo a cantare, insieme.
Tutti loro, di fronte a un mondo che li vuole cinici o corrotti, scelgono di rispondere con un atto dirompente di umanità. Sono diventati i nostri specchi. Come racconta Matteo, uno dei ragazzi partecipanti, sono stati "quattro meravigliosi musical che, credetemi, hanno fatto venire voglia di recitare anche a chi, tra noi, non ci aveva mai pensato". L'arte ha smesso di essere intrattenimento ed è diventata una chiamata all'azione.
Ma un canto, per quanto bello, rimane solo un'idea se non si ancora alla terra.
Come ci ricorda la riflessione Lasalliana, "nessuno può sottrarsi al grido dei poveri, che non può essere separato dal grido della terra. Tutto è collegato". Per noi, questo principio ha smesso di essere una teoria nel momento in cui siamo stati accolti dall'abbraccio fraterno dei Fratelli delle Scuole Cristiane di Bedford Park, nel Bronx. La loro casa non è stata solo il nostro alloggio, ma il cuore pulsante della nostra missione, la testimonianza vivente che il servizio educativo ai poveri è un atto di amore.
l luogo dove la nostra melodia ha dovuto confrontarsi con la realtà, sono state le numerose ed intense giornate di servizio. Qui, il nostro cuore si è spostato davvero "nelle periferie".
A POTS (Part of the Solution), nel Bronx, abbiamo conosciuto e affrontato la "Hadestown" del mondo reale. Non abbiamo solo distribuito pasti a centinaia di persone; abbiamo guardato negli occhi la complessa rete di muri invisibili – legali, sanitari, abitativi – che intrappolano le persone. La canzone "Why We Build the Wall" è diventata una domanda reale, tangibile. POTS ci ha insegnato a trattare con la stessa dignità ogni persona che incontravamo e abbiamo capito che servire non è un atto di carità, ma un gesto di ascolto. Alla Ascension Church Food Pantry, abbiamo vissuto la stessa esperienza di dignità profonda insieme ad altri ragazzi della stessa età che ogni mese si radunano per servire i più poveri del quartiere.
Alla Methodist Home, abbiamo scoperto che la solitudine è uno dei muri più alti da abbattere. Lì, parlando con Christine, 102 anni, abbiamo capito che la nostra presenza, il nostro ascolto, era il "canto più bello" che potessimo offrire. Come ha scritto uno dei nostri ragazzi, "conoscere queste realtà, viverle insieme agli altri ragazzi mi ha dato la forza di vincere alcune paure, mi ha fatto toccare con mano la soddisfazione che si prova ad aiutare gli altri e l’importanza del gioco di squadra". Il servizio non è stato un "fare qualcosa per i poveri", ma un "essere con le persone", un atto di fraternità universale che ci ha cambiati nel profondo.
Matteo lo descrive così: "Sono da pochi giorni rientrato dal viaggio a New York, un'esperienza incredibile e davvero unica. Diciassette giorni intensi in cui si sono alternati momenti di svago a momenti di lavoro e riflessione. Abbiamo vissuto esperienze molto forti, come alla casa di riposo, dalla quale siamo usciti tutti molto colpiti". Alla Methodist Home, il nostro "canto" è diventato il tempo donato, la pazienza di ascoltare storie lunghe una vita. "Mi ricorderò di Cristine, signora di 102 anni che, nonostante l'età e le difficoltà, era sempre pronta a scherzare e a sorridere". In questo incontro tra generazioni, abbiamo costruito un ponte contro la solitudine, scoprendo che la fragilità è un linguaggio universale che crea connessioni indistruttibili.
Questa fatica condivisa, questo scendere "in basso", nella realtà cruda delle strade, è stata la vera genesi della nostra comunità. Perché è facile stare insieme nella spensieratezza. La vera connessione nasce quando la stanchezza fa emergere le crepe. C'è stato un momento, inevitabile e necessario, in cui le differenze individuali hanno creato una dissonanza. Ma è stato proprio lì che, grazie a giochi teatrali basati sulla fiducia, abbiamo imparato a "camminare mano nella mano" in modo tangibile. I muri interiori sono crollati e le connessioni si sono saldate, forgiando amicizie basate su valori profondi. "Abbiamo scherzato, lavorato, pianto e gioito insieme, e questo ha contribuito a creare un gruppo molto coeso", ricorda Matteo.
È stato allora che il tema "Tutto è connesso" ha iniziato a manifestarsi ovunque. Lo abbiamo capito durante il workshop teatrale con un attore di Broadway, Alex Puette, un momento fondamentale in cui abbiamo smesso di essere spettatori e abbiamo imparato a "smontare" l'arte per capirne i meccanismi, per imparare ad "accordare il mondo" con noi stessi. Lo abbiamo visto esplorando New York da ogni prospettiva possibile: dal basso, durante il servizio, e dall'alto, dalla cima di un grattacielo, da cui i muri della città sembravano improvvisamente piccoli e superabili.
Ogni giorno, il nostro viaggio veniva raccontato da una canzone creata appositamente per il video del giorno, un piccolo "canto" che fissava le emozioni e le storie.
Tutto ha trovato il suo posto nell'ultima riunione. Lì, i nostri artefatti hanno svelato il loro segreto. Il puzzle, composto pezzo dopo pezzo ogni sera, ha finalmente mostrato la sua immagine completa, metafora visiva della nostra comunità. I quaderni personali, uniti, hanno formato una frase-promessa, una costellazione di intenti: "Come what may, we will walk hand in hand, finding beauty in the fold, for good". E dal quaderno comune è emerso il nostro mantra, il nostro impegno per il futuro: "WE WILL SING IT AGAIN". Infine, ognuno di noi ha ricevuto un garofano rosso, il fiore di Orfeo, fatto a mano a maglia. Non un semplice ricordo, ma il simbolo tangibile che, non importa quanto freddo sia l'inverno, la primavera può sempre tornare.
Questo viaggio non ha offerto risposte facili. Ha chiesto fatica, coraggio e vulnerabilità. Ma ci ha lasciato con una certezza incrollabile, che risuona nelle parole di una canzone di Jovanotti che ha chiuso la nostra esperienza “101”: il fallimento non esiste. Non esiste se ogni caduta diventa l'occasione per imparare qualcosa di nuovo. “Se cado cento volte, mi rialzo… centouno”. E questo è ancora più vero se non lo fai da solo, ma sorretto da una comunità.
Il mondo si cambia un gesto alla volta, una canzone alla volta, una connessione alla volta. È un'esperienza che non finisce con il ritorno a Roma.
Siamo infatti tornati a Roma con una consapevolezza nuova. Abbiamo imparato che la speranza è una disciplina, che la comunità è una costruzione paziente, e che il nostro compito, ora, è continuare a cantare. Perché anche se a volte è una canzone triste, noi la canteremo ancora. E ancora. Finché la primavera non tornerà. Perchè niente può fermare la primavera.
Questo non è solo un progetto educativo. È un invito. Un invito a credere in un'educazione che forma non solo la mente, ma anche il cuore e le mani. Un invito agli studenti a desiderare un viaggio che non sia una fuga dalla realtà, ma un tuffo profondo dentro di essa, per scoprire nuovi lati di sé, trovare il coraggio di essere autentici e dare uno scopo profondo alla propria esistenza. È la testimonianza che, anche oggi, è possibile educare alla fraternità, alla giustizia e alla bellezza. Insieme.
Come conclude magnificamente Matteo: "La sensazione è davvero quella di un viaggio che non finisce mai, perché le sensazioni e le emozioni provate ci accompagneranno tutta la vita".
E questo, forse, è il più bel canto di tutti.
Prof. Andrea Sicignano
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