Non
so come sarebbe cambiata la mia vita se io quel giorno ti avessi parlato.
Ancora ricordo il momento esatto in cui ti vidi per la prima volta, sai.
Firenze,
agosto 2019.
Il
sole già scottava quando verso le nove di mattina mia madre ed io uscimmo dal b&b.
Di corsa, perché come tu ben sai io non sono mai in ritardo ma di certo neanche
mai in anticipo. Attraversammo borgo S. Frediano, una pausa per le nostre
centrifughe preferite al bar all'angolo, borgo S. Jacopo e, finalmente, Ponte
Vecchio. Che meraviglia che è! Non ho mai fretta quando vedo cose belle e
quindi sul ponte rallentai il passo, ovviamente guadagnandomi degli sguardi di
evidente disapprovazione da parte di mia madre.
“Siamo
in ritardo!” mi disse mentre continuava a camminare.
“Come
se non me ne fossi accorta” risposi. Non so se rivolta più a lei o a me stessa.
La
verità è che il telefono con Google Maps a guidarci ce l’avevo in mano io e lei
senza di me non sapeva dove andare. Dunque accelerai. Dritto, destra, sinistra
e poi alzai lo sguardo dallo schermo. Di fronte a me avevo la splendida piazza
della Signoria, ovviamente già piena di turisti. Eravamo vicine alla nostra
destinazione. Pochi minuti dopo avevamo ritirato i nostri biglietti già
prenotati, passato i controlli e stavamo salendo le scale degli Uffizi.
Diciassette anni e non ci ero mai stata. Non commento ulteriormente.
Non
so cosa mi aspettassi esattamente, forse qualcosa di più grande. O forse
l’overdose di arte e musei che il tour in Toscana mi stava provocando mi aveva
semplicemente resa più critica.
Le prime opere però sono bastate a farmi
rivalutare la mia prima impressione. Attraversavo sale e sale colme di quadri
che avrebbero meritato ognuno una stanza per sé per potersi concentrare
veramente sulla loro singola bellezza. Di fronte alla “Primavera” di Botticelli
ci saranno state almeno trenta persone, più o meno tutti stranieri.
Approfittando della mia piccola statura mi feci largo tra la massa per
posizionarmi proprio al centro, davanti a tutti. Non era necessario che io
comprendessi la loro lingua, bastava incrociare i loro sguardi per capire che
mi stavano insultando in tutti i modi possibili per aver fregato il posto con
la visuale migliore. Sono seguiti alcuni momenti in cui, in estasi, ho
completamente dimenticato dove mi trovassi. Avevo visto quel quadro
innumerevoli volte in innumerevoli libri eppure, cavolo, era ancora più bello
dal vivo. Avevo ancora lo sguardo rivolto verso l’alto e il fiato sospeso
quando sentii una voce dietro di me: “Move, please”. Un ultimo sguardo al
dipinto e poi fui costretta ad immergermi nuovamente in quella fitta massa di
persone dallo sguardo poco amichevole. Ripresi dunque a passare di quadro in
quadro cercando di fermarmi davanti ad ognuno quanto necessario per poter dire
di averlo guardato e non solo visto. Poi mi ritrovai davanti al “Ritratto di
Giovinetto” del Perugino. Un ritratto come tanti altri, eseguito con estrema
precisione, ma quasi insignificante se non fosse stato per la fama dell’autore.
Stavo per passare oltre quando mi accorsi che davanti a me c’era un ragazzo con
un blocco di fogli e una matita. Guardava quel ritratto e nel frattempo la sua
matita scorreva sul foglio tracciando segni che io non riuscivo a scorgere.
Cosa poteva mai vedere lui per soffermarsi proprio su quell'opera? Feci qualche
passo indietro per osservare meglio il quadro. Gli occhi, forse. Lo sguardo di
quel giovinetto era così profondo che sembrava non aspettasse altro che
qualcuno per raccontargli la sua storia, triste probabilmente. Ora potevo vedere
il volto del ragazzo con la matita in mano. Era biondo, con i capelli
abbastanza lunghi, scompigliati, gli occhi mi sembravano chiari ma non ne ero
certa, non volevo fissarlo troppo a lungo per paura che si accorgesse di me.
Era alto, quasi troppo magro. Il suo sguardo era completamente assorto
dall'opera e dai tratti sul suo foglio. Il mio, invece, era assorto su di lui.
A riportare la mia attenzione sulla realtà circostante fu mia madre, diceva che
non avevamo tutto il tempo, dovevamo andare avanti. E se io avessi perso di
vista il ragazzo con la matita? Il mio obiettivo da quel momento sarebbe stato
evitare che potesse accadere. Passammo al corridoio successivo, ad ammirare
ulteriori opere. Continuavo a voltarmi e non puoi immaginare quale sollievo provai
nel realizzare che lui manteneva circa il nostro stesso andamento. Mi ci
ritrovai accanto un paio di altre volte. Per me la vera opera d’arte era lui
che osservava quei quadri. Ero così curiosa di scoprire che tipo di schizzi
realizzava, come disegnava, perché sceglieva determinati soggetti e non altri.
Poi, passandogli accanto, riuscii a scorgere il foglio. A quel punto fui
veramente pervasa dalla confusione: non stava disegnando, stava scrivendo. Era
un ragazzo che scriveva di fronte ai quadri. Lo avrai capito adesso, quel
ragazzo eri tu e questo è il primo ricordo che ho di te.
Liliana Gaddi
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