Era un’ora che era chiuso
nella sua stanza ad ascoltare musica. Solo che le canzoni che di solito amava
non aveva proprio voglia di ascoltarle oggi. Gli sembravano banali, come se
ormai non potessero comunicargli più nulla. Cercava nuove playlist su Spotify,
cliccava a caso sul titolo che più lo ispirava e… niente.
Passava alla
prossima, magari quella sarebbe stata la canzone che inconsciamente stava
cercando, la melodia che avrebbe placato il suo animo in tormento. Poteva anche
scendere a compromessi: una colonna sonora che accompagnasse il suo stato
d’animo sarebbe bastata. Pensava a sua madre che si era trasferita all’estero
un anno prima, lasciandolo solo con suo padre e suo fratello. Ma non era questo
il punto. Pensava ad Ada, che lo aveva lasciato da un paio di giorni, dopo due
anni in cui avevano condiviso tutto. Era stata la sua prima vera ragazza, il
suo primo vero amore, colei che era riuscita a farlo sorridere quando non
credeva fosse possibile. Ma d’altronde non credeva nemmeno che lo avrebbe mai
lasciato. Alzò il volume, si buttò sul letto.
“È inutile” pensò. Smise di cambiare
continuamente canzone e si mise a fissare il soffitto, poi la lampada. Chissà
se sarebbe stato in grado di ricordare nel dettaglio come era fatta senza
guardarla. In quella stanza ci era cresciuto eppure a volte aveva l’impressione
di scorgere dettagli nuovi, diversi, a cui mai aveva fatto attenzione. Tipo la
maniglia della porta. La toccava tutti i giorni ma l’aveva mai guardata?
Avrebbe mai saputo ricostruirne la forma, la grandezza il colore nella sua
mente? L’altro giorno si era accorto per la prima volta che la parte superiore
era più rovinata, aveva perso quello strato dorato in superficie. In quel
momento aveva capito che forse Ada aveva ragione. Forse veramente non si era
accorto che per una volta era lei ad avere bisogno di lui. Non si era accorto
che le cose erano cambiate. Non lo aveva capito quando lei aveva litigato con
le sue amiche, quando se ne era fatte di nuove e quando aveva cominciato ad
assomigliare a loro. Era convinto che fosse normale che lei stesse cambiando,
in fondo anche lui non era più lo stesso.
“Non ti riconosco più”
gli aveva detto. Lei poteva stravolgere tutto eppure era lui che veniva lasciato
perché era cambiato. Lui non le era stato vicino come avrebbe dovuto, questo lo
ammetteva. Ma non poteva rimanere lo stesso, non se voleva continuare a vivere.
Continuando a fissare il soffitto iniziò ad inspirare riempendo lentamente i
polmoni e poi, tutto in un colpo, sbuffò. Erano troppi e troppo contorti i suoi
pensieri. Di scatto si alzò, dall’armadio tirò fuori una felpa, poggiò la mano
sulla maniglia scolorita senza guardarla e, con passo deciso, attraversò il
salone diretto verso l’ingresso.
“Stai uscendo?” gli
chiese suo padre.
Con un lieve movimento
del capo accennò una risposta affermativa.
“Non fare troppo tardi”
aggiunse con un sorriso, tradendo la gioia di vederlo finalmente uscire dalla
sua stanza.
Dove stesse andando non
lo sapeva nemmeno lui e non ci voleva pensare. Per una volta voleva che fossero
i suoi piedi a guidarlo e non la sua testa. L’unica sua certezza erano il
quaderno e la penna che teneva in mano.
Il sole quasi lo accecò
quando aprì il portone e lui ricordò di non aver preso gli occhiali da sole.
Pazienza. I suoi passi lo guidarono in direzione del centro, attraverso le
porte di Villa Borghese fino a quando alzò lo sguardo per capire che si trovava
a Piazza di Siena. Allora cominciò a correre, disperatamente. Avrebbe voluto
urlare per liberarsi del peso che si portava dentro ma ogni volta il grido gli
si bloccava in gola. Correva e non vedeva più nulla, sentiva solo l’aria, il
vento, qualche voce di bambini che giocavano nelle vicinanze. Si fermò appena
in tempo per non sbattere contro la balconata del Pincio. Stava tramontando e
nella contemplazione di quella vista finalmente non pensò più a nulla. La sua
mente si riempì della calda luce del sole.
“Adesso posso scrivere”
pensò. Si sedette su una di quelle panchine e approfittando degli ultimi raggi
di sole tirò fuori il quaderno, la penna e cominciò.
Liliana Gaddi
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