Ogni riferimento a persone
esistenti o fatti realmente accaduti è puramente casuale.
Il romanzesco è la verità dentro la bugia, e la verità di questo
romanzo è una sola.
Roma, Collegio S. Giuseppe - Istituto de Merode – Ore 17:00
Erano trent’anni che Irma ripeteva
gli stessi movimenti. Ogni giorno, dopo che i ragazzi avevano lasciato gli
edifici lei apriva la porta dello sgabuzzino, prendeva il carrello delle
pulizie e iniziava metodicamente il suo lavoro dal basso. Anche quel giorno
aprì la porta in legno e vetro accanto alla guardiola e si diresse a destra nel
lungo corridoio che conduceva alla grande sala. Senza neanche guardare cominciò
a pulire il pavimento. Il suo era ormai quasi un riflesso involontario eppure
qualcosa aveva interrotto quel movimento.
Il silenzio che permeava la scuola fin dentro alle mura fu interrotto dal suo grido.
Roma, Via del Corso - Ore 21:00
Non era certo una serata per
perdite di tempo, quella. Il vento spingeva la pioggia contro le vetrine
producendo un sordo ticchettio, e la pioggia, allora, rispondeva a quel suono malinconico con
scrosci irregolari. Le luci dei lampioni
si rifrangevano nell’acqua delle pozzanghere creando un’atmosfera chiaramente
autunnale, nonostante mancassero alberi dalle foglie caduche a testimonianza del
fatto. Ogni cosa in quella via era congelata in quel frammento infinito di
tempo. Nello stesso momento quel paesaggio riusciva a rinchiudere la freddezza
del passato e il calore bruciante di un presente troppo impegnato, descritto dal
muoversi frettoloso dei piedi dei
passanti. Le loro figure si muovevano spedite, senza lasciare tempo ai loro
volti di rimanere impressi su queste pagine. Un solo uomo aveva accettato
l’inevitabilità di quel temporale, e se ne stava fermo in un angolo. Era alto,
col fisico di chi lavora d’ingegno più che di forza, ma comunque con un
portamento signorile. Stava dritto, con lo sguardo proiettato lontano,
indossando con un’eleganza innata il suo trench di foggia classica e blu notte
-portato rigorosamente col bavero alzato, sotto al quale si intravedeva un maglione
a collo alto color panna- e il suo borsalino. Quello, in realtà, era forse più
un vezzo per mascherare una lieve stempiatura resa evidente dai capelli
corvini, che creavano contrasto con la carnagione chiara la quale, però,
metteva in risalto gli occhi di un blu profondo sottolineati dalle folte
sopracciglia che rendevano il suo sguardo intenso e scrutatore. Nulla infatti sfuggiva
alle sue occhiate taglienti e austere, che mettevano a disagio chiunque osasse
sfidarlo guardandolo direttamente. Era severo e rigoroso con se stesso e con
gli altri e il suo portamento non lasciava adito ad errori di interpretazione
nel cercare di individuarne l’indole.
L’irruenza dell’acqua aveva
creato un flusso che scorreva ora sul bordo della strada, a pochi centimetri
dai piedi dell’uomo che nel frattempo si era riparato sotto l’ingresso di un negozio per approfittare delle luci
delle vetrine ancora accese . Tirò fuori
dalla tasca il suo tagliasigari in argento e la custodia in pelle dei suoi
amati Toscani. Ne tagliò uno, se ne
portò alla bocca una metà e la accese con calma e concentrazione, come
se nulla potesse in quel momento distrarlo. Accertatosi che tirasse bene, si
rilassò.
L’odore acre del fumo si
mescolava a quello dell’asfalto bagnato.
Nulla avrebbe potuto disturbare l’uomo che sembrava quasi cercare di
nascondersi all’interno di quella nuvola grigiastra che fuggiva verso il cielo unendosi
alla pioggia sottile in una danza di spirali, quasi come se volesse negargli il
diritto di stare da solo.
L’uomo ebbe il tempo di fare solo
la prima boccata, quando lo squillo del suo telefono lo interruppe.
"Pronto" disse, attendendo una risposta. "Edoardo
Guenzi?". "Sì…?". "Sono Michele Guarnerio, Frère Michele, ti ricordi di me?. Ho
bisogno di te… è successo una cosa all’interno della scuola… avrei bisogno del
tuo aiuto, subito".
"Sì, mi ricordo di lei", ebbe
un attimo di titubanza.
Mille immagini si accavallarono
nella sua mente, mille emozioni si rincorsero nel suo cuore. Quanta amarezza
gli era rimasta in bocca per il modo in cui quella scuola aveva dovuto
lasciarla, accusato di una colpa non sua, vittima di una decisione che aveva
subito con dignità anche se aveva cercato in tutti i modi di dimostrare la sua
innocenza. Si era ripromesso che non sarebbe mai più tornato in quel posto, ma
la voce disorientata di Frère Michele, l’unico che aveva creduto nella sua
innocenza, lo convinse a rispondere a quella richiesta di aiuto.
"Arrivo subito". Disse cercando
di nascondere la sua insicurezza con un tono risoluto.
"Entra dall’ingresso secondario, per favore".
"Certamente, mi ricordo…".
Si strinse nel suo trench e
cominciò a camminare in modo automatico sotto la pioggia; i pensieri andavano
e venivano ad ogni falcata, allontanandosi per poi ritornare veementi come le
onde che si infrangono sul bagnasciuga quando il mare è grosso.
Imboccò via del Babuino, arrivò
all’incrocio con via Alibert e girò la
testa verso il fondo della stradina, dove
lo aspettava il grande cancello in ferro della scuola che per tanti anni
lo aveva visto crescere. Quante volte era passato attraverso quel varco,
temendo giornate di pena all’ingresso e tirando un sospiro di sollievo
all’uscita per un successo ottenuto o un’interrogazione scampata.
Si fermò un attimo prima di
chiamare il Frère per farsi aprire.
Ripensò a quando, con la testa
bassa per il senso di umiliante impotenza e i pugni chiusi per la rabbia di
aver subito una profonda ingiustizia, aveva oltrepassato quello stesso cancello
per l’ultima volta, lasciandosi alle spalle un’esperienza che lo aveva formato,
nonostante il suo epilogo, come persona e come studente.
Non era un caso che da quel
momento in poi tutto il suo percorso di vita era stato mirato alla ricerca
della verità, sempre e in ogni caso. Gli studi di giurisprudenza prima, poi la
specializzazione in criminologia negli Stati Uniti e la scelta di passare la
propria esistenza scrutando in quella degli altri, alla ricerca di elementi e
indizi che potessero aiutare i suoi clienti a non subire l’onta di accuse
infamanti e difficilmente confutabili senza il suo aiuto. Investigatore. Un
mestiere dal fascino d’altri tempi, vintage, demodé. Eppure ancora
ricercatissimo da chi non vuole rendere pubbliche le sue difficoltà, da chi
vuole condurre le proprie delicate vicende nel massimo della riservatezza. E
non c’è dubbio che Edoardo, col suo stile fuori dal comune, era sicuramente
divenuto uno dei professionisti più talentuosi in questo settore.
Aveva lasciato che il suo
Toscano, che lo aveva consolato per tutto il tragitto, si spegnesse lentamente.
Tirò un lungo respiro cercando calma e concentrazione e varcò quella soglia
ancora una volta. Il Frère lo aspettava osservando solenne il cancello dalla
cima della scalinata principale. "Eccoti, dopo tanto tempo. Avrei sempre voluto
chiamarti, ma qualcosa mi ha trattenuto nel corso di questi anni. Ho seguito
i tuoi successi passo dopo passo e sono convinto che tu possa aiutarmi a venire
fuori da questa tempesta che sta per travolgerci".
"Cosa è successo di tanto grave
che non potesse aspettare domattina?", chiese allora Edoardo.
"Vieni".
Le luci erano spente, solo quel
fioco bagliore che proveniva dall’esterno attraverso le grandi finestre
permetteva di individuare a grandi linee le caratteristiche di quell’ambiente;
con quel buio nessuno che non fosse familiare e confidente con quei luoghi e
quegli spazi si sarebbe potuto minimamente orientare.
"Non posso accendere le luci ,
attirerebbero l’attenzione di qualcuno a quest’ora di notte", disse Fr. Michele.
Edoardo, allora si fece luce col
telefonino, vagando con lo sguardo per la stanza alla ricerca del qualcosa da
notare finché la luce non si spostò in basso.
Un brivido gli corse lungo la
schiena, girò istantaneamente lo sguardo verso Michele che ricambiò l’occhiata
senza dire nulla.
Ai piedi della tromba delle scale
giaceva, riverso bocconi sul marmo, un Frère dai capelli bianchi.
"È Saturnino", disse Michele, "ti ricordi di lui?".
Certo che si ricordava. Era stato
il suo insegnante di latino, che gli aveva trasmesso il suo amore
incondizionato per il libri antichi. Più erano polverosi e più riteneva che
avessero qualcosa da dire, che fossero custodi di segreti da svelare solo a chi
li avesse trattati con amore e rispetto, a chi si fosse reso disponibile ad
ascoltare le loro storie.
Quell’immagine lo lasciò per un
attimo annichilito.
"Perché è ancora così? È stato un
incidente? Perché non avete chiamato la polizia o un medico legale?", chiese
sbalordito.
"Là per là ho pensato che si
trattasse di un incidente. Poi ho trovato tra le sue dita questo", disse
Michele porgendogli un pezzo di carta ingiallita.
Sembrava solo un pezzo di una
pagina di un libro, nulla che non fosse coerente con l’ipotesi di un incidente
vista la passione di Saturnino per i testi antichi.
"Avreste dovuto chiamare la
polizia. Io mi occupo di crimini seri, non di banali incidenti".
"Non ti ho detto tutto".
1. Accettare il caso e seguire il
Frère
2. Rifiutare e andarsene
1. Accettare il caso e seguire il Frère
RispondiEliminaAccettare il caso è seguire il consiglio del Frere
RispondiEliminaRifiutare e andarsene
RispondiElimina1) accettare il caso
RispondiElimina2) Rifiutare e andarsene.
RispondiElimina2
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