Il Golgota ombreggiava su Gerusalemme, offrendo ristoro alle anime torturate dalla calura e dal peccato. Il sole era tramontato e risorto. Il mattino si era fatto sera,
Si tastò con le dita. Poi estrasse, stringendo i denti, una scheggia di legno che gli si era infilzata sotto la mascella. Guardò la lama. Era smussata. Gli era stato detto di stare attento. Le ossa sono dure: le spade devono essere affilate. Un oceano di cadaveri gli si apriva davanti agli occhi. Musulmani, Ebrei, Cristiani. Divisi in vita, uniti nella morte. Il fetore era amplificato dal caldo. Le mosche volavano giubilanti sui corpi dei caduti. I topi banchettavano sulle prede più morbide. Neonati, donne, vecchie, paralitici. Gli occhi sbiancati erano tutti rivolti verso il cielo, o strozzati nella polvere. Da terra si sollevò un bambino. Indossava una casacca fatta a brandelli, che una volta era stata bianca. Aveva il volto annerito da uno spesso strato di sangue secco. Dove prima ridevano due pupille scure, sprofondavano ora due abissi insondabili. Tristano sentì la testa bruciare.
“Ηλει Ηλει λεμα σαβαχθανει;”
Il bambino piangeva forte. Piangeva sangue e sale.
“Ηλει Ηλει λεμα σαβαχθανει;”
E urlava, sempre più straziato, sempre più disperato. La mano del cavaliere era paralizzata sull’elsa. Alzò il braccio. Tentennò. Non capiva che lingua fosse. Ma gli pareva familiare, simile a quella che aveva sentito nella cappella del castello, quando nuotavano ancora i pesci. Il bambino era completamente immobile. Uccideteli. Uccideteli tutti. Aspettava che l’uomo di ferro vibrasse il colpo. Lo osservava con i suoi due occhi svuotati, dal basso verso l’alto. Lo osservava e lo temeva. La lama tremava. Il soldato piangeva. Uccideteli. Uccideteli tutti.
“Ferma la tua spada, Tristano”
Udì una voce che lo avvolgeva, una mano fredda e ossuta, ma ancora vigorosa, che gli afferrava il braccio.
La spada oscillava ancora a mezz’aria.
Manfredi aprì gli occhi. Faceva caldo. L’aria era fetida. La tonaca bianca che lo aveva protetto dal freddo notturno era ora intrisa di sudore. Sentì il capo umido. Lo toccò. Era sangue. Ma poco. Si cercò di alzare. Faceva fatica a trovare un equilibrio. Si appoggiò più volte al muro di pietra su cui si era accasciato. Il sole continuava ad ustionarlo. La sua pelle raggrinzita di vecchio normanno non era fatta per quei luoghi, per quella luce. Riuscì a muovere un passo. Poi un secondo. Infine, un terzo. Si sentì come un bambino. Pensò poi che non ne era capace: non si ricordava cosa significasse imparare a camminare. Nessuno ricorda i suoi primi passi. Nessuno ricorda cosa si prova nell’alzarsi per la prima volta. Arrancò sul campo di battaglia. Pianse. Sondava il terreno con lo sguardo, in cerca di feriti e moribondi, magari di vivi. Nulla. Fu allora che lo vide. Alto. Sporco. Bello. Con la follia negli occhi, e la disperazione negli arti. Corse. Si accorse di essere ferito ad una gamba. Si accorse di essersi spezzato. Corse. Il crocifisso di legno gli batteva sul petto, quasi a spronarlo, a dargli forza. Afferrò il braccio del cavaliere. Mise nelle dita la stessa foga animale di chi impugna una spada. L’aria, come una freccia, uscì tagliente dai suoi polmoni, facendo vibrare le corde vocali. Parlò con voce di predicatore, con vigore di soldato, con spirito di padre. Seguì il silenzio. Una breve successione di attimi. Ma il tempo si era fermato. Tristano si girò verso di lui. Lo guardò con angoscia. Lo guardò con rabbia. Lo guardò con vergona. Scosse via la mano del prete. Gli puntò contro la lama. Alta e terribile, temprata nel sangue. Manfredi ripensò alla Sicilia. Alla sua casa. Al servo Paolo, ed al suo sorriso largo e generoso. Ai campi di grano, alle arance ed al loro succo. Ripensò a lei. Ai suoi capelli neri. Al male improvviso che se l’era portata via, senza ragione, senza senso. Al suo viso bianco e candido. Rivolse il suo cuore a Dio. Pregò.
I) Tristano sferra il colpo
II) Tristano lascia cadere la spada
Sferra il colpo...
RispondiEliminaDeve essere il racconto di un maturando affascinato da Lucano?
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