lunedì 2 novembre 2020

Un giallo...tra di noi - parte terza

 


Ogni riferimento a persone esistenti o fatti realmente accaduti è puramente casuale.

 

Edoardo era in bagno, in piedi davanti al lavandino e si tamponava  il naso con un asciugamano intriso di acqua ghiacciata. L’acqua scorreva. Si guardava allo specchio e si chiedeva come avesse fatto a farsi scappare quel delinquente. Michele lo scrutava attraverso l’immagine riflessa, imbarazzato perché percepiva il disagio per la sconfitta e l’umiliazione subite da quello che ormai considerava più un amico che un vecchio studente, cercando di comprendere cosa gli stesse passando per la testa. Rabbia? Frustrazione? O stava già provando a mettere insieme i pezzi degli avvenimenti che si erano succeduti nei giorni e nelle ore precedenti?

"Tutto questo non ha senso, Michele. È fin troppo ovvio che non possa trattarsi di una coincidenza; sapeva dove andare, sapeva come muoversi, sapeva cosa cercare. Non riuscivo ad orientarmi io, in quel buio. Eppure quel topo maledetto si destreggiava come un pipistrello tra gli ostacoli. Cosa stava cercando… cosa…?

Sei sicuro che nulla sia stato toccato? Che nulla manchi? Ci sono cose di valore qui dentro?".

"No, Edoardo. Abbiamo controllato noi, hanno controllato gli uomini di Abrami. Non abbiamo tesori, niente per cui valga la pena rischiare.".

"Scusa Michele, e quei quaderni di Trilussa di cui sentii parare quando frequentavo questa scuola? Che mi dici di quelli?".

"Sì, esistono; ma sono solo dei quaderni di un giovane studente ribelle che ancora si chiamava Carlo Alberto Salustri; raccolte di esercizi, disegni di un bambino che ha lasciato questa scuola a quindici anni. Non certo manoscritti del Trilussa più famoso. Hanno un valore simbolico, affettivo, didattico direi".

"Dove sono custoditi?".

"In un armadio che rimane sempre chiuso a chiave. Ma ti ripeto, in questa biblioteca ci sono volumi antichi dal valore infinitamente più alto dei quaderni di Salustri che non sono stati toccati. Non c’era un solo posto vuoto sugli scaffali al momento del fatto. Credo, sinceramente, che tu stia imboccando una strada sbagliata. Comunque controlliamo".

Le chiavi dell’austero armadio blindato in mogano erano custodite in doppia copia: una da Saturnino - che teneva sempre con sé - e una da Michele nel suo ufficio. Erano una miriade di ferraglie; chiavi di foggia diversa fra loro, che da centosettanta  anni, quando il San Giuseppe De Merode era ancora la école française di Palazzo Poli, tenevano al sicuro gli oggetti e i documenti più importanti dell’antica costruzione.

La copia di Michele era sempre stata al suo posto e quella di Saturnino era nella tasca dei suoi pantaloni al momento della tragedia.

Edoardo sentì i passi di Michele che si avvicinavano e si portò davanti al mobile. Era un cassettone alto, con tre cassetti  nella parte inferiore e uno sportello a ribalta in quella superiore; l’anta a ribalta era chiusa con una grande serratura la cui toppa aveva forma di pentagono. Michele infilò la chiave corrispondente e la girò verso sinistra; la ribalta si aprì e mostrò una serrandina a doghette di legno che celava il contenuto del secretaire. Edoardo alzò lo scorrevole e comparve una elegantissima parete di ferro intarsiato, ornata da cerniere decorate da motivi floreali delicatamente cesellati da mani esperte e raffinatissime. Allora Michele prese un altro arnese dal mazzo delle chiavi, lo infilò in una fessura e fece scattare una delle cerniere sotto alla quale comparve un ulteriore chiavistello a forma di quadrato. Il frère prese la chiave giusta e la girò quattro volte verso sinistra. Un’altra cerniera fece un sordo clac e Michele infilò un nuovo buffo ferro nella toppa corrispondente. Girò anche questa, stavolta sei volte a destra ed ecco che il primo dei cassetti sottostanti fece un sussulto in fuori.

Michele afferrò i pomelli e tirò: vuoto. Il cassetto era vuoto.

Il povero Michele perse ogni colorito dal volto, si appoggiò con la mano sinistra alla parete e con la destra si sfilò gli occhiali e si asciugò la fronte.

"Non è possibile". Disse balbettando. "non è possibile. Le chiavi sono sempre state al loro posto, non ha senso. Perché rubare questi oggetti quando molto altro avrebbe fatto gola ad un ladro a caccia di guadagni facili? È una storia assurda, un danno enorme per l’immagine della scuola".

"Ogni quanto controllavate questo forziere? Chi aveva accesso al suo contenuto oltre voi due?".

"Non c’era motivo di aprirlo spesso. Lo facevamo saltuariamente per verificare che la carta dei quaderni fosse in un buono stato di conservazione, che non ci fosse umidità all’interno. Ma non così spesso. E non c’era nessuno oltre a noi due in grado di poterlo aprire. È un meccanismo così vecchio che sfido ci siano ancora persone in grado di riuscirci. Non capisco"…

"Quanti erano i quaderni di Salustri?".

"Quattro, solo quattro".

L’Ispettore Abrami camminava su e giù nervosamente per il corridoio che porta alla biblioteca.

"Eccola qui, Guenzi. Avevo la certezza che avrebbe creato qualche altro problema. Ha fatto la descrizione dell’intruso che l’ha aggredita ai miei uomini? A contribuito a farne un identikit corrispondente?". E sghignazzando aggiunse "devo dire che comunque l’aggressore misterioso ha fatto un gran bel lavoro!" indicando il naso tumefatto di Edoardo  e non nascondendo una infinita soddisfazione e una sorta di malevola riconoscenza per il colpo inferto all’investigatore.

"Allora Guenzi, non c’è molto da dire, non mi sembra un caso così complesso. Non le sembra? Mi auguro vivamente che lei sia d’accordo con me: Probabilmente il ladro, che forse conosceva questo ambiente,  si è introdotto la prima volta nell’edificio; magari ha obbligato il povero Saturnino ad aprire la cassaforte, c’è stata una colluttazione con finale tragico. Del resto il pezzetto di carta che abbiamo ritrovato nella mano di Saturnino lo confermerebbe. Poi il ladro ha  pensato che ci fosse altro da prendere ed è tornato qui ieri sera non immaginando di trovare lei. Gli assassini tornano sempre sul luogo del delitto, si sa".

"Come intende procedere, Ispettore?", chiese Edoardo scettico sulla affrettata conclusione di Abrami e cercando di trattenersi dal rispondere a tono alle pungenti provocazioni del poco arguto ispettore.

"Ah beh, è facile. Faremo un giro tra i negozi di antiquariato della zona; sono sicuro che il ladro sarà uno scriteriato, magari una nostra vecchia conoscenza nel settore, che avrà già provato a piazzare la merce; lo prenderemo presto, sono sicuro. È un ambito ristretto quello in cui muoversi, ne stia certo”.

Edoardo  non era così certo della semplicità del caso. Non trovava logico che il ladro avesse ucciso per degli oggetti dal valore relativo. Neanche per spavento di fronte ad reazione non prevista e scomposta di Saturnino.

Il frère era un uomo gracile, debole; cosa avrebbe mai potuto fare per suscitare una risposta tanto violenta?

La figura con cui Edoardo si era scontrato era preparata e sapeva come muoversi. Il suo profilo non corrispondeva con quello di un ladro dilettante o comunque non era compatibile con quello di un malvivente occasionale. Si era organizzato prima o eseguiva le direttive di qualcuno più scaltro e preparato di lui.

C’erano troppi elementi che non coincidevano totalmente con l’ipotesi di Abrami.

Abrami aveva sguinzagliato i suoi uomini a cercare argomentazioni mirate a confermare la sua teoria in tutti i negozi di antiquariato di storica fama, dai rigattieri, dai restauratori e presso chiunque avesse a che fare con antichità varie nella zona. L’ispettore stesso si era recato in  un paio di eleganti atelier di vecchiariato le cui vetrine affacciavano sulle strade del centro storico.

Era entrato anche in una splendida casa d’aste di rinomata notorietà che accoglieva la sua clientela in un salone arredato con mobili di rara bellezza, arazzi preziosi alle pareti, soprammobili pregiatissimi provenienti da tutta Europa. Ad accoglierlo fu il Sig. Owen Thorpe, un aristocratico ed elegantissimo gentiluomo di origini britanniche che viveva nel nostro paese da decenni e che si era perfettamente adattato al nostro stile di vita. Il sig. Thorpe era stato affabile, si era mostrato estremamente interessato alla storia e si era reso disponibile a collaborare con Abrami interessandosi lui stesso di cercare notizie al riguardo nell’ambiente delle aste private.

Nel frattempo Edoardo si muoveva in maniera autonoma conducendo un’indagine parallela partendo dal presupposto che devono essere gli elementi a offrirti delle basi su cui fondare un’ipotesi, contrariamente a come stava facendo Abrami il quale, avendo stabilito quale fosse la più probabile dinamica degli avvenimenti, stava invece cercando forsennatamente di incastrare i tasselli a tutti i costi per confermare la sua teoria.

Le conoscenze di Edoardo nel “sottobosco” della Roma notturna erano molte. Si trovava a proprio agio tra personaggi sfuggenti, dal passato e dal presente ambiguo, che vivevano alla giornata galleggiando nella palude della malavita a vari livelli.

Informatori, insomma. Galoppini al soldo di questo o quest’altro padroncino, voltagabbana occasionali. Poi c’erano i "suggeritori puri", quelli che assistevano agli eventi loro malgrado, magari perché erano costretti a passare la notte all’addiaccio perché privi di un riparo sicuro; poveri esseri che godevano di tutto il rispetto di Edoardo il quale cercava di aiutarli come poteva quando era costretto a ricorrere a loro durante qualche indagine. Edoardo, infatti, non amava sfruttarli perché temeva di esporli troppo alle ritorsioni della pericolosa feccia che di notte si aggira per la capitale.

Dopo tante ore passate a parlare con i più sgradevoli e equivoci personaggi, Edoardo si imbatté in un senzatetto che spesso la notte si aggirava nei dintorni della scuola.

Era quasi ora di coricarsi per il pover’uomo che stava sistemando le sue poche chincaglierie attorno a sé; Edoardo si avvicinò a lui con una coperta in mano, gliela porse e gli chiese se poteva fargli qualche domanda.

"Sì, rispose l’uomo. Non è facile che qualcuno mi parli così".

"Non voglio darle fastidio, ho solo bisogno di sapere se ricorda di aver visto qualcuno scavalcare questo cancello la notte scorsa".

"Chi sei tu, un poliziotto?", chiese l’uomo.

"No, sono quello a cui la persona che ha scavalcato il cancello ha fatto questo bel lavoro sulla faccia… e aggiungo anche che un poliziotto di mia conoscenza è molto felice della cosa", disse Edoardo strappando un sorriso al senzatetto.

"Mi sei simpatico – disse l’uomo – sei gentile. Ti risponderò… Si. Ho visto chi ha scavalcato e so anche chi è".

"Ne sei sicuro? Avevi bevuto?".

"Sì, ma non abbastanza da non rendermi conto di quello che succedeva. Non so il nome, so solo che è uno che la notte gira da queste parti. Uno scapestrato, che fa lavoretti saltuari, ogni tanto consegna cose, anche cose poco pulite, ogni tanto lava i vetri dei negozi uno così, insomma. Spesso si viene a sedere qui vicino a me con una bottiglia in mano e mi racconta delle cose senza senso. È uno che per qualche soldo sarebbe capace di fare qualsiasi cosa".

"Hai detto di non sapere il suo nome, ma sai dove posso trovarlo, puoi almeno descrivermelo?".

"E’ un tipetto con i capelli scuri, lunghi, mingherlino, cammina tutto storto. Mi ha detto solo che abita in una stanzetta sopra a un negozio di spezie  a Piazza Vittorio, non so altro".

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Scelta 2:       Edoardo si fa accompagnare dalla polizia.

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