lunedì 21 dicembre 2020

La verità dell'argilla - parte quarta



IV) Argilla

“Conducimi alla bottega dello scultore”

“Così sia”

Ancora una volta il suo corpo fu inghiottito dal dedalo pietroso delle strade di

Gerusalemme. Il pensiero vagava qua e là, negli angusti angoli della mente, travagliato dalla possibilità di una morte imminente. Non aveva mai pensato di avere fretta. La placidità che lo aveva accompagnato nelle ore precedenti, originata probabilmente da un fin troppo letterale e fin troppo assurdo incontro col destino, aveva ormai lasciato spazio all’angosciosa prospettiva di un oggi privo di domani. Il futuro, adesso, corrispondeva ad un lasso di tempo ben limitato e preciso: tre giorni. Vi era ancora, però, la speranza di un successo. Ed il fallimento, che aveva pregustato con tanta gola solo poche ore prima, aveva d’improvviso assunto un sapore amarognolo e sgradevole che si era incuneato in ogni piega della sua bocca umida e dei suoi denti tarmati. Quest’altalena di umori e pensieri, così inusuale per il suo carattere, lo turbava con altrettanto inusuale vigore. Si sentiva come il personaggio malfatto di un poema scadente: una pedina lunatica ed incoerente nelle mani di un giullare dedito al piacere di un pubblico di stolti.  Odiava i poemi, odiava i cavalieri, odiava i giullari. I flauti gli perforavano i timpani ed i tamburi gli spostavano il cuore. I banchetti, le danzatrici, le dame e i cortigiani erano un’immane ed insopportabile fonte di disgusto. E di pena. Eppure, Tristano, gran cavalier normanno di Trinacria, era solo un’appendice di quel mondo enorme e decadente, manipolata con dubbia destrezza da un autore anonimo. O almeno, questo era il suo sentire. Avrebbe voluto far caso alla città che gli scorreva intorno, alle luci che riscaldavano l’aria. Non fu così. Camminava vuoto per le strade, seguendo diligentemente il passo del Kohen. E che strano uomo che era il Kohen! Così lontano e così familiare. Con un accento così forestiero e così paterno. Sembrava, però, un uomo in cui avere fede, a cui consegnare la possibilità di essere salvato. Arrivarono, infine, alla bottega. Un luogo abbandonato che una volta era stato brulicante di vita e intelletto, e che ora, nel buio di una notte fatale, risplendeva di quello strano bagliore chiamato pericolo. La porta era spalancata: continuava a sbattere a ritmi regolari sullo stipite di roccia. Ad ogni colpo si staccava una scheggia di legno marcio. Tristano pensò che un filosofo, uno di quegli uomini cui Dio ha dato eccellente mente, sarebbe riuscito a calcolare quanti scontri fossero necessari perché il rumore cessasse. 

“È ora di entrare”

“Fammi strada, conosci questo luogo meglio di me”

“Non sono io il protagonista di questa storia”

Puntò così il lungo dito scheletrico verso l’oscurità dell’entrata.

“Hai paura?”

“Forse. Tu, vecchio, non ne hai?”

“Sono arrivato ad una stagione della mia esistenza in cui non si teme più niente”

Entrarono. Il Kohen accesa una vecchia lampada ad olio. 

“Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte”

Tristano fu sorpreso dalla normalità di quel luogo. Una bottega vuota di opere ma ancora piena di strumenti, memore delle grandezze dello spirito e della mano. Non vi erano, in effetti, bozzetti. Quanto lavoro serve per preparare una brutta copia? Immaginò un uomo privo di volto lavorare per ore su statuette che non avrebbe mai amato, scarti propedeutici a cose più grandi. E questo forse è il destino della maggior parte degli uomini: essere bozzetti, supporti in vite ed avvenimenti che li sovrastano. Anche lui, d’altronde, certo non era fatto di marmo. Sentiva un tumulto provenire da sotto i piedi, un fabbricare incessante che rimbombava dalle viscere della terra. 

“Cosa c’è qui sotto?”

“Una grotta, una tomba, una culla”

“Cominciamo con gli indovinelli?”

“Non senti come scricchiolano le travi che ti sorreggono?”

Il Kohen avvicinò la lampada ai piedi del cavaliere. Fu allora che Tristano vide la scritta purpurea che gli era stata promessa.

“Significa verità, hai detto?”

“Sì, Verità”

“Come posso scendere?”

“Sotto il banco da lavoro c’è una botola”

“Come puoi saperlo?”

“Lo so perché è necessario che tu lo sappia”

Il normanno spostò il tavolo, che si rivelò stranamente leggero. Vi era una botola, e sotto di essa una scalinata consunta. Scesero i gradini, mentre lo scalpellare continuava. 

Arrivarono ad una ruvida stanza scavata con unghie e picconi rudimentali, illuminata dal solo fuoco. Tra due fiaccole si ergeva una figura umana, deforme ed asimmetrica, completamente composta di argilla. Era ricoperta delle vestigia dei bozzetti da cui era stata ricavata. Pezzi di volto e capitelli emergevano smussati dal suo torso e dai suoi arti, ormai irriconoscibili.  Un uomo anziano e vestito di abiti pregiati continuava a battere lo scalpello sulla statua mostruosa, spiccando i frammenti di terra secca che ne eccedevano la forma. Sulla fronte della creatura inanimata era scritta in ebraico una parola, sempre quella: אמת, verità. Argilla senza vita, argilla morta. E l’uomo che tentava, con il pensiero e con la mano, di darle vita e scopo. Argilla indurita, inutile, da buttare. Argilla sterile. Argilla, e polvere invece di sangue, pietra invece di anima. Argilla, l’uomo prima di Dio.

“Osserva l’ultima conseguenza del dolore: la follia”

Chiamò quello che doveva essere il nome del sapiente. Avraham. Avraham. Non vi fu risposta alcuna. Lo chiamò con voce più vigorosa. Avraham. La reazione fu egualmente inesistente.

“Ha perso la figlia, Rebecca, durante la guerra. Ha ritrovato, una mattina illuminata, il cadavere di lei, nudo, davanti alla porta. Il volto era così gonfio e sporco da non poter essere baciato, neanche per l’ultima volta, prima della terra”

Fece una pausa. 

“Il padre, distrutto, perse il senno. Trovò conforto nella cabbala. Guardalo ora. ἰδοὺ ὁ ἄνθρωπος. Un guscio vuoto che scheggia una torre pericolante, nella malsana speranza che ne nasca un golem”

“Ha ucciso lui lo scultore, il genovese?”

“Si”

“E nessuno si è accorto della stanza sotterranea? Nessuno ha fatto caso al pavimento vuoto?”

“A nessuno interessava. Nessuno ne aveva il tempo. La morte di un cristiano, certo, non era un qualcosa di cui preoccuparsi, a Gerusalemme, qualche tempo fa”

“Tutto qui?”

“Cosa intendi?”

“La mia salvezza dipendeva da questo: scovare un vecchio folle intento a creare una favola?”

“Si, e no. Più di questo, meno di questo. Ma dimmi, vuoi lasciarlo in vita, e condannarlo ad un tribunale iniquo, che lo torturerà e flagellerà, prima di decapitarlo, oppure vuoi dargli, ora, tu, la grazia di una morte veloce?”

Con la mano sull’elsa, sentì ancora una volta l’odore delle arance.

Vai alla parte finale


I) Risparmia il vecchio, per poi consegnarlo al tribunale

II) Uccidi il vecchio

Il Blog consiglia:

PODCAST - Una testimonianza da Gaza: Intervista alla Dottoressa Elvira Del Giudice

Il podcast del Blog degli Studenti giovedì 16 novembre 2023 ha ospitato la Dottoressa Elvira Del Giudice. La Dottoressa ci ha fornito una te...

Top 5 della settimana