mercoledì 2 settembre 2020

Perché l’antirazzismo non è una moda



Seguiamo almeno una persona che, in seguito alla morte di George Floyd (25 maggio 2020), ha repostato nelle storie un post inerente al movimento Black Lives Matter (BLM). C’è chi lo ha trovato fastidioso: “dopo un po’, chi metteva nelle storie post del genere ha iniziato a stancarmi” (frase che ho sentito fin troppe volte), chi invece ha sfruttato i media per documentarsi.

Possiamo quindi dire con tutta tranquillità di aver assistito ad un fenomeno mediatico che, per molti, è stata solo una moda nata qualche mese fa e durata poche settimane.

Ciò che molti non sanno, è che il movimento BLM non è nato tre mesi fa, bensì nel 2013, 7 anni prima della morte di George Floyd. 

Black Lives Matter nasce in seguito alla sentenza sull’omicidio di Trayvon Martin (Florida), 17enne ucciso il 26 febbraio 2012 da George Zimmerman, un volontario per la sicurezza del quartiere. Trayvon stava camminando da casa sua verso un minimarket, quando una pallottola lo colpì in pieno petto, uccidendolo. Il suo assassino aveva chiamato la polizia qualche secondo prima di sparare, per dichiarare di aver avvistato un ragazzo dalle “sembianze sospette” e, contro ogni indicazione del poliziotto al telefono, seguì il ragazzo, finendo per ucciderlo. Quando la polizia arrivò, il Trayvon era già morto, mentre Zimmerman aveva segni di lotta sul viso e sulla testa: la polizia lo rilasciò, interpretando il caso come legittima difesa. Dopo le proteste che nacquero in tutto il paese, il caso venne portato in tribunale a Giugno del 2013 come omicidio di secondo grado. Zimmerman venne accusato di “voler giocare a fare il poliziotto, inseguendo un ragazzo e aggredendolo solo per sospetto”. Dopo 16 giorni, Zimmerman venne ugualmente dichiarato non colpevole, mentre in tutto il paese i cittadini continuavano a protestare per avere giustizia, per loro e per i propri figli. A Novembre dello stesso anno la città di Sanford (dove Martin venne ucciso), dichiarò illegale per i volontari per la sicurezza di quartiere portare armi con sé.

Dopo questi avvenimenti, tre donne: Alicia Garza, Patrisse Cullors e Opal Tometi, fondarono l’organizzazione oggi conosciuta mondialmente come BLM, con lo scopo di intervenire in caso di ingiustizie nei confronti di persone nere e di colore da parte dello stato e della polizia. Black Lives Matter viene definito, sul sito ufficiale dell’organizzazione (www.blacklivesmatter.com), come “un intervento ideologico e politico in un mondo in cui le vite nere sono sistematicamente e intenzionalmente prese di mira al fine della loro scomparsa”. Nel corso di questi anni, sono nati 40 chapters  (letteralmente: branche/diramazioni) per supportare le comunità locali di persone nere e di colore “oppresse dalla supremazia bianca e dal white privilege” (per chi non sapesse di cosa si parla, consiglio di leggere l’articolo allegato di seguito: https://www.vice.com/it/article/4ayw8j/privilegio-bianco-esempi).

 

In questi mesi, in tanti, superficialmente, hanno colto l’occasione per fare una bella figura davanti ai loro followers, aderendo al trend di mettere un post ogni tanto in cui veniva spiegato, in maniera più o meno dettagliata, il razzismo e gli effetti che questo ha sulle persone, sulla società, sulla politica.  Altrettante persone hanno deciso di rimanere fuori dalla questione, sia privatamente che pubblicamente, astenendosi dal commentare, dal documentarsi, dal parlarne apertamente con amici e famigliari; schierandosi, forse inavvertitamente, dalla parte dell’oppressore. In pochi si rendono conto che il razzismo non è un trend; che dire la “n word” nella privacy di casa loro è offensivo e sbagliato quanto dirla in pubblico. Il fatto è che solo in pochi hanno capito che il razzismo non è solo un fenomeno mediatico o una moda, che ci sono esseri umani che lo vivono sulla loro pelle, tutti i giorni, e che questo influenza il loro modo di vivere e, alcune volte, il loro modo di percepire se stessi.

Sulla piattaforma TikTok, era diventato virale il video di una bambina che si metteva a piangere perché realizzava di poter essere uccisa solo per il colore della propria pelle: una caratteristica di sé che lei non potrà mai cambiare, ma che, comunque, le farà vivere la vita in modo diverso rispetto ad una bambina bianca nella sua stessa condizione sociale. Eppure in tanti chiudono gli occhi, o si girano dall’altra parte, rifiutandosi di guardare in faccia la realtà. Sui giornali abbiamo letto articoli che criticavano il modo di protestare degli attivisti BLM, che hanno iniziato a buttare giù statue che rappresentavano colonizzatori o schiavisti. Ma quanti di noi si sono veramente fermati a comprendere il significato di questi gesti? Quanti di noi hanno partecipato, anche in quarantena dal nostro divano, stringendo il pugno, alle proteste in tutto il mondo tramite le immagini ed i video che venivano mostrati al telegiornale? Quanti di noi si sono chiesti: “voglio davvero vivere in un mondo in cui gli uomini negano i diritti di altri uomini? Voglio davvero far crescere le generazioni future in una società che io non ho fatto niente per cambiare?”. La risposta è: troppo pochi. E non saranno mai abbastanza finché qualcuno troverà noioso o addirittura fastidioso un post che spiega che cosa è l’appropriazione culturale o le frasi che possono essere trovate offensive da una persona di colore (poc) o nera. 

 

Io non sono nessuno, non capisco veramente cosa significa sentirsi discriminati per il colore della propria pelle e spero di non provare mai niente di simile. Non sono nessuno, eppure sono con chi protesta, per un mondo in cui nessuna bambina dovrà piangere per paura di essere uccisa, sono con chi lotta, non con chi rimane in silenzio. E mi auguro che qualcuno, avendo letto, capisca l’importanza di schierarsi, piuttosto che di rimanere impassibile.

E ricordarvi che: “Se siete neutrali in situazioni di ingiustizia, avete scelto la parte dell’oppressore” (Desmond Tutu).

Flavia Gatti

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