Seguiamo almeno una persona che, in seguito alla morte di George Floyd (25 maggio 2020), ha repostato nelle storie un post inerente al movimento Black Lives Matter (BLM). C’è chi lo ha trovato fastidioso: “dopo un po’, chi metteva nelle storie post del genere ha iniziato a stancarmi” (frase che ho sentito fin troppe volte), chi invece ha sfruttato i media per documentarsi.
Possiamo quindi dire con tutta tranquillità di aver assistito ad un fenomeno mediatico che, per molti, è stata solo una moda nata qualche mese fa e durata poche settimane.Ciò che molti non sanno, è che il movimento BLM non è nato tre mesi fa, bensì nel 2013, 7 anni prima della morte di George Floyd.
Black
Lives Matter nasce in seguito alla sentenza sull’omicidio di Trayvon Martin
(Florida), 17enne ucciso il 26 febbraio 2012 da George Zimmerman, un volontario
per la sicurezza del quartiere. Trayvon stava camminando da casa sua verso un
minimarket, quando una pallottola lo colpì in pieno petto, uccidendolo. Il suo
assassino aveva chiamato la polizia qualche secondo prima di sparare, per
dichiarare di aver avvistato un ragazzo dalle “sembianze sospette” e, contro
ogni indicazione del poliziotto al telefono, seguì il ragazzo, finendo per
ucciderlo. Quando la polizia arrivò, il Trayvon era già morto, mentre Zimmerman
aveva segni di lotta sul viso e sulla testa: la polizia lo rilasciò,
interpretando il caso come legittima difesa. Dopo le proteste che nacquero in
tutto il paese, il caso venne portato in tribunale a Giugno del 2013 come
omicidio di secondo grado. Zimmerman venne accusato di “voler giocare a fare il
poliziotto, inseguendo un ragazzo e aggredendolo solo per sospetto”. Dopo 16
giorni, Zimmerman venne ugualmente dichiarato non colpevole, mentre in tutto il
paese i cittadini continuavano a protestare per avere giustizia, per loro e per
i propri figli. A Novembre dello stesso anno la città di Sanford (dove Martin
venne ucciso), dichiarò illegale per i volontari per la sicurezza di quartiere
portare armi con sé.
Dopo
questi avvenimenti, tre donne: Alicia Garza, Patrisse Cullors e Opal Tometi,
fondarono l’organizzazione oggi conosciuta mondialmente come BLM, con lo scopo
di intervenire in caso di ingiustizie nei confronti di persone nere e di colore
da parte dello stato e della polizia. Black Lives Matter viene definito, sul
sito ufficiale dell’organizzazione (www.blacklivesmatter.com),
come “un intervento ideologico e politico
in un mondo in cui le vite nere sono sistematicamente e intenzionalmente prese
di mira al fine della loro scomparsa”. Nel corso di questi anni, sono nati
40 chapters (letteralmente: branche/diramazioni) per
supportare le comunità locali di persone nere e di colore “oppresse dalla supremazia bianca e dal white privilege” (per chi
non sapesse di cosa si parla, consiglio di leggere l’articolo allegato di
seguito: https://www.vice.com/it/article/4ayw8j/privilegio-bianco-esempi).
In
questi mesi, in tanti, superficialmente, hanno colto l’occasione per fare una bella
figura davanti ai loro followers,
aderendo al trend di mettere un post ogni
tanto in cui veniva spiegato, in maniera più o meno dettagliata, il razzismo e
gli effetti che questo ha sulle persone, sulla società, sulla politica. Altrettante persone hanno deciso di rimanere
fuori dalla questione, sia privatamente che pubblicamente, astenendosi dal
commentare, dal documentarsi, dal parlarne apertamente con amici e famigliari;
schierandosi, forse inavvertitamente, dalla parte dell’oppressore. In pochi si
rendono conto che il razzismo non è un trend;
che dire la “n word” nella privacy di
casa loro è offensivo e sbagliato quanto dirla in pubblico. Il fatto è che solo
in pochi hanno capito che il razzismo non è solo un fenomeno mediatico o una
moda, che ci sono esseri umani che
lo vivono sulla loro pelle, tutti i giorni, e che questo influenza il loro modo
di vivere e, alcune volte, il loro modo di percepire se stessi.
Sulla
piattaforma TikTok, era diventato virale il video di una bambina che si metteva
a piangere perché realizzava di poter essere uccisa solo per il colore della
propria pelle: una caratteristica di sé che lei non potrà mai cambiare, ma che,
comunque, le farà vivere la vita in modo diverso rispetto ad una bambina bianca
nella sua stessa condizione sociale. Eppure in tanti chiudono gli occhi, o si
girano dall’altra parte, rifiutandosi di guardare in faccia la realtà. Sui
giornali abbiamo letto articoli che criticavano il modo di protestare degli
attivisti BLM, che hanno iniziato a buttare giù statue che rappresentavano
colonizzatori o schiavisti. Ma quanti di noi si sono veramente fermati a
comprendere il significato di questi gesti? Quanti di noi hanno partecipato,
anche in quarantena dal nostro divano, stringendo il pugno, alle proteste in
tutto il mondo tramite le immagini ed i video che venivano mostrati al
telegiornale? Quanti di noi si sono chiesti: “voglio davvero vivere in un mondo in cui gli uomini negano i diritti
di altri uomini? Voglio davvero far crescere le generazioni future in una
società che io non ho fatto niente per cambiare?”. La risposta è: troppo
pochi. E non saranno mai abbastanza finché qualcuno troverà noioso o addirittura fastidioso un post che spiega che cosa è
l’appropriazione culturale o le frasi che possono essere trovate offensive da
una persona di colore (poc) o
nera.
Io
non sono nessuno, non capisco veramente cosa significa sentirsi discriminati
per il colore della propria pelle e spero di non provare mai niente di simile. Non
sono nessuno, eppure sono con chi protesta, per un mondo in cui nessuna bambina
dovrà piangere per paura di essere uccisa, sono con chi lotta, non con chi
rimane in silenzio. E mi auguro che qualcuno, avendo letto, capisca
l’importanza di schierarsi, piuttosto che di rimanere impassibile.
E
ricordarvi che: “Se siete neutrali in
situazioni di ingiustizia, avete scelto la parte dell’oppressore” (Desmond
Tutu).
Flavia Gatti
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