lunedì 16 novembre 2020

Un giallo...tra di noi - parte finale

 


Ogni riferimento a persone esistenti o fatti realmente accaduti è puramente casuale.

 

 

 

"È alla ricerca di qualcosa di particolare signor..?", chiese Thorpe. "Castelli, mi perdoni per la gaffe. Gabriele Castelli". Rispose Edoardo. Gabriele Castelli era il suo pseudonimo da battaglia. Amava avere un alter ego che gli rimanesse fedele, che lo accompagnasse nelle indagini più complesse.

E il suo sostituto immaginario proseguì: "Forse; ero venuto con un’idea in testa, ma ciò che vedo intorno a me distoglie l’attenzione dal mio primo obiettivo... In realtà ho un amore smodato per il materiale cartaceo; acqueforti, schizzi, anche stampe, se meritevoli di interesse. C’è stato un periodo in cui collezionavo atti giuridici, accordi commerciali, scritture notarili. Alle spalle della mia scrivania troneggia un atto di compravendita di bestiame della prima metà del XVIII secolo che ho trovato da un rigattiere dell’Aquila anni fa... A Teheran ho acquistato fogli provenienti da un quaderno di calcoli matematici databile intorno al 1600... Insomma, signor Thorpe, la mia è quasi una passione bulimica per ciò che è scritto, disegnato, ornato...".

Thorpe, immaginando di aver compreso i desideri di Gabriele Castelli, aprì un grande cassetto, ne estrasse una cartella portadisegni verde, la poggiò sul tavolo in vetro che utilizzava come scrivania. "Inizio con farle vedere qualcosa" – disse mentre scioglieva i lacci neri e apriva accuratamente il contenitore.

Edoardo lo osservava attentamente: i lineamenti nordici, la figura longilinea, i capelli mossi ormai brizzolati che tradivano un passato da biondo; gli occhi chiari dal taglio allungato, lo sguardo evasivo, mellifluo, reticente al confronto diretto.

Una ulteriore sensazione di disagio gli attraversò il corpo; quella espressione artificiosa e insincera stava sovrapponendosi a qualcosa con cui già in passato aveva avuto a che fare. Un ricordo stava ostinatamente cercando di affiorare dal tempo andato di Edoardo che, nel frattempo, era rimasto immobile ad osservare i lenti movimenti delle mani di Thorpe.

Il gallerista tirò fuori uno schizzo a matita in stile futurista aeropittorico. "Un Dottori. Un gioiello. Fa parte di una serie di studi dei quali posso reperire anche un altro paio di fogli, se è interessato". "Edoardo lo osservò non mostrandosi particolarmente preso. "Interessante, non c’è che dire. In verità immaginavo qualcosa di autografo, una lettera, una scrittura... amo il ‘900, pensa di avere nulla?".

Thorpe lo scrutò con attenzione. Edoardo cominciò a mostrarsi insofferente; si dipinse una controllata smorfia di disappunto sul volto che il suo interlocutore si affrettò a cercare di cancellare mostrandosi ancora più affettato e disponibile.

"Ci ragioni con calma, Signor Thorpe. Tornerò a trovarla", disse girandosi verso l’uscita.

E in quello stesso momento il suo sguardo cadde su uno degli scaffali che incorniciavano la porta dello studiolo in cui l’inglese lo aveva ricevuto: dietro un vaso in cristallo stava, seminascosta, una cornice con una foto in bianco e nero che aveva tutta l’apparenza di rappresentare una scolaresca. Edoardo rimase di sasso: gli studenti se ne stavano schierati sui gradini della scala esterna di una scuola che lui riconobbe fin troppo bene: la sua.

Per un attimo rimase di ghiaccio; il brivido lungo la schiena aveva raggiunto la sede dei ricordi ed era riuscito a svegliare finalmente anche quelli sopiti; spiacevoli sensazioni si accavallarono nella sua mente; si rivide per l’ennesima volta mentre lasciava la scuola alle spalle e balenò all’improvviso lui, il responsabile di quel vigliacco gesto di cui Edoardo venne ingiustamente accusato: Eugenio Santopetri, essere indegno, vile scorpione, antesignano del bullismo più becero, espulso a sua volta dopo l’accaduto, perché, non sazio dei danni già fatti, aveva rivolto le sue attenzioni su altri compagni che stavolta, però, erano riusciti a far emergere la loro verità. E quella volta frère Saturnino non aveva voluto sentire ragioni e si era mostrato intransigente con Santopetri. Lo spettro del suo attuale senso di inadeguatezza nei confronti di alcune situazioni, di quello di riscatto nei confronti della tanto amata scuola, prendeva forma, si forgiava dalla creta delle emozioni concretizzandosi nell’essere che se ne stava impettito di fronte a lui.

Lì davanti ai suoi occhi: Eugenio Santopetri, di madre britannica; Thorpe, Ewan Thorpe nella nuova vita che si era regalato.

I pezzi del puzzle si componevano nella testa di Edoardo; i sospetti trovavano concretezza, i dubbi trovavano ragione. Il passato si fondeva col presente; un cerchio, che vedeva la figura di Saturnino al centro, si chiudeva.

Rivalsa, di questo si era trattato. Questo era il movente che aveva spinto il gallerista a desiderare quei quaderni.

E gli tornarono in mente le parole del mezz’uomo Stefano, quando diceva che Thorpe, pur potendo avere altro di ben più alto valore, si era fissato con quegli oggetti; uno sfregio alla scuola, al frère che aveva sempre disprezzato la vigliaccheria, gli abusi, la superbia, la prevaricazione, la violenza.

Edoardo si riprese dallo choc e capì che aveva il colpevole a portata di mano; non poteva lasciarsi scappare questa unica occasione.

Quello che nella testa di Edoardo era sembrato un lasso di tempo lungo una vita corrispondeva nella realtà a un paio di minuti.

Nel frattempo l’ignaro Thorpe, che dall’alto della sua boria non aveva minimamente riconosciuto il vecchio compagno di scuola, temendo di vedersi sfuggire un cliente di spessore e apparentemente disposto a spendere per i suoi capricci, abbandonò le reticenze e lo richiamò: "Aspetti, signor Castelli. In effetti, avrei, anche se non ancora inventariato e, in verità, in attesa di autentica, un pezzo assai raro anche se non antico. È arrivato in atelier ieri, tramite un collega... sa uno scambio...".

"Benissimo, mi lasciava andare via così?... di cosa si tratterebbe, allora? Mi mostri questa rarità".

"Un quaderno. Si tratta di un quaderno di scuola di un non ancora famoso Trilussa. Non poesie, non sonetti, solo un quaderno di esercizi, ma assolutamente autentico. La certificazione sarà un proforma. Posso mostrarglielo?".

"Ma certamente", disse Edoardo avvicinandosi nuovamente alla scrivania.

Thorpe indossò un paio di guanti bianchi in cotone, entrò nella stanza accanto e ne uscì con il quaderno tra le mani. "Eccolo", disse "spero che questo possa soddisfare le sue aspettative".

Edoardo chiese a Thorpe di appoggiare il quaderno sulla scrivania e di sfogliarlo; voleva osservare lo stato della copertina e della costola esterna. Chiese di girarlo e aprire l’ultima pagina e osservò: "Vedo che è in condizioni perfette. Se non fosse per quel pezzo di foglio mancante... sembra quasi uno strappo recente, il colore della lacerazione non ha preso quella patina giallastra che assume la carta vecchia... un incidente avvenuto qui in atelier?".

Thorpe iniziò a balbettare. "Ma, non saprei, non mi ero accorto minimamente della questione, contatterò il mio collega...".

"Tu non contatterai proprio nessuno, Eugenio Santopetri. Verme. Sei tu che sei andato a trovare frère Saturnino per convincerlo a cederti i quaderni che ti facevano gola. Sei tu che lo hai tempestato di telefonate dopo il suo rifiuto. Sei tu che hai pagato quel poco di buono per andare a fare quello che tu stesso, che vigliacco eri e vigliacco sei rimasto, non hai avuto il coraggio di fare da solo. È a te che quel povero balordo ha portato subito i quaderni, tu sei il mandante del furto, tu sei la causa di quanto è successo”.

Alle sue parole Eugenio/Ewan trasalì... fece un passo indietro e corse verso la porta.

Edoardo si tuffò verso di lui, lo afferrò per il retro della giacca e lo atterrò. Thorpe si divincolò, si girò in posizione supina, cercò di arretrare spingendosi con le gambe verso la porta ma Edoardo gli fu di nuovo addosso e lo colpì sul volto con un pugno bene assestato. Thorpe si arrese, si sdraiò sul pavimento e rimase a guardare il soffitto senza dire una parola.

Edoardo si era liberato, aveva fatto quello che non aveva potuto fare una ventina di anni prima. Non che la sua redenzione passasse attraverso un pugno, questo no, ma sicuramente era passata attraverso la verità. E la giustizia sarebbe arrivata di lì a poco.

Mentre Edoardo guardava il gallerista piombò l’ispettore Abrami con i suoi uomini. "Guenzi, possibile mai che la trovi sempre in mezzo?".

"È possibile che lei arrivi sempre sul più bello?", ironizzò Edoardo.

"Lei non mi è simpatico ma devo ammettere che ha delle buone intuizioni, a volte. Mi sono fatto condizionare dalla nostra ultima chiacchierata e ho pensato che valesse la pena indagare oltre. Dai tabulati telefonici risulta che le ultime telefonate ricevute da frère Saturnino provenissero tutte dal numero di questo uomo di paglia che giace ai suoi piedi; caduto accidentalmente, immagino..." e si lasciò scappare un sorriso, stavolta sincero, strizzando l’occhio nella direzione di Edoardo.

Mentre gli uomini dell’ispettore portavano via Santopetri, Abrami si avvicinò. "Si lasci stringere la mano, investigatore. Posso dirle grazie, Edoardo? Senza rancore?". "Certo ispettore. Ha fatto un buon lavoro, ha chiuso in bellezza, auguri per il futuro".

Edoardo se ne stava seduto sul divano della biblioteca della scuola. Cagliostro lo fissava dalla scrivania con la coda penzolante. C’erano degli elementi che ancora non trovavano posto, o se lo trovavano entravano a fatica nella ricostruzione degli eventi.

Edoardo era d’accordo in linea di massima con la conclusione di Abrami ma trovava troppo sbrigativa la chiusura dell’indagine. Perché, si chiedeva - se il ladro ha obbligato Saturnino ad aprire la cassaforte, poi il frère l’ha richiusa con accuratezza? Che bisogno c’era se ormai era vuota? E tutta questa meticolosità mentre subiva un furto? Non aveva senso. Certo era che la richiesta che Thorpe/Santopetri aveva fatto a Saturnino era da parte sua inaccettabile... ecco perché si era chiuso nella biblioteca senza più uscire e senza rispondere più neanche al telefono: per proteggere i suoi libri, il suo mondo amatissimo, la sua eredità agli studenti della scuola. Sapeva che prima o poi l’antiquario o qualcuno per lui sarebbe andato a riprovarci.

Edoardo non riusciva a togliersi dalla testa quell’agenda, quegli appuntamenti che Saturnino non aveva potuto onorare. Emblema di una vita lasciata a metà. Sentiva di dovere ancora qualcosa a quello straordinario uomo. Riprese il telefonino in cui erano conservate le foto scattate a quelle pagine nelle quali erano annottati a penna orari e date...

Il giorno evidenziato con un cerchio, l’orario scritto a mano: 08 marzo alle 09:10, 09 marzo alle 19:20, il 10 aprile alle 9:10, il 12 aprile alle 19:20...

All’improvviso fece caso ad una nota della quale non si era accorto in precedenza: in calce alla pagina su cui era riportato il primo appuntamento compariva una nota: medio tutissimus ibis, Ovidio, Metamorfosi II, 137. – nel mezzo andrai al sicuro...

"E se..." pensò tra sé e sé.

Provò a scrivere differentemente quelle date su un foglio su cui il gattone appoggiava delicatamente le zampe anteriori.

8/3/9:10

9/3/19:20

10/4/9:10

12/4/19:20.

Cagliostro, nel frattempo, disturbato dalla presenza di Edoardo che armeggiava sulla scrivania, si era spostato ai piedi della scala scorrevole con cui frère Saturnino “volava” letteralmente da uno scaffale all’altro.

Edoardo guardò Cagliostro, poi il foglio e infine fissò lo sguardo sullo scaleo.

Lo spostò all’altezza della sezione otto. Si appoggiò ai corrimano e mise un piede sul primo piolo. Iniziò a salire mentre sentiva il cuore battere sempre più forte. Uno, due, tre scalini, fino ad arrivare allo scaffale numero tre, il terzo partendo dall’alto. Contò i volumi a partire da sinistra e si fermò al nono. Ed ecco comparire, tra la posizione nove e la dieci, un fascicolo con la copertina rigida rivestita di stoffa nera. Lo estrasse delicatamente dal suo nascondiglio; il dorso dei fogli era rosso, anche se di un rosso ormai sbiadito. Aprì la copertina con la delicatezza di chi maneggia un pezzo di cielo. Sulla prima pagina, scritto a inchiostro in bella calligrafia su una riga prestampata troneggiava un nome:

Carlo Alberto Salustri

Seconda Media sez. A

Erano codici. Era così che frère Saturnino aveva voluto mettere al riparo i suoi adorati quaderni. Il tesoro più prezioso della biblioteca. Il fiore sbocciato dall’insegnamento dei suoi predecessori. Il simbolo della continuità della missione educativa dei frère, una parte della loro storia.

Con le mani tremanti spostò la scala all’altezza della sezione nove, la successiva. Cercò secondo lo stesso principio: sezione nove, scaffale tre, tra la posizione diciannove e la venti. Ed ecco comparire il secondo quaderno. Lo stesso fece per il successivo: posizione dieci, scaffale quattro, di nuovo tra la posizione nove e la dieci.

E poi la conferma finale; al quarto tentativo trovò ciò che si aspettava di trovare: nulla.

Ecco com’era andata: Saturnino, certo del fatto che Thorpe/Santopetri avrebbe tentato di rubare i quaderni, li aveva tolti dal mobile blindato e li aveva nascosti dove nessuno li avrebbe mai cercati. Quando li aveva quasi messi tutti al sicuro arrivò il galoppino di Thorpe, che nel tentativo di strappargli dalle mani l’ultimo quaderno spinse il frère giù per le scale e lacerò l’ultima pagina del manoscritto.

Ecco, il mistero era risolto, i quaderni sarebbero tornati tutti al loro posto, l’anima di Saturnino avrebbe potuto continuare a vegliare sulla biblioteca e su coloro che avrebbero voluto frequentarla.

"Non ti sarò mai grato abbastanza", disse Michele ad Edoardo.

"Il tuo aiuto, la tua caparbietà, il tuo impegno personale sono stati fondamentali per me e per la nostra comunità in generale. Cosa possiamo fare per dimostrarti la nostra riconoscenza, Edoardo?".

"Nulla Michele, il fatto in sé mi ha restituito una parte di me che altrimenti sarebbe andata perduta per sempre. Ricongiungermi con essa è la ricompensa più grande che potrei mai chiedere. Tuttavia, forse, una piccolissima cosa potrei desiderarla...".

Edoardo oltrepassò un’altra volta il grande cancello di ferro, che stavolta si spalancò davanti a lui con un’aria meno austera del solito.

Camminava sereno, col suo trench blu notte, il Borsalino calato sulla testa, il maglione a collo alto color crema... e uno splendido Maine Coon abbandonato tra le braccia.

Giacomo Di Maria

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